La partita di Renzi con il Pd e con il Paese

Renzi, segretario e premier, riscuote un notevole consenso nella pubblica opinione, è bravo, sa parlare, persegue e in parte attua riforme. La sua parola d'ordine è: "cambiamento". Governa da solo. Quest'ultimo particolare gli procura quella notevole fiducia di cui gode proprio perché molti italiani detestano i partiti e molti se ne infischiano perfino della democrazia. Dunque: scarsa fiducia al Pd, molta fiducia al premier. È un fatto strano? Certamente lo è, ma questa è la situazione. Del resto non è una novità, in Italia è avvenuto spesso e l'esempio più recente è stato Berlusconi: per vent'anni  -  sia pure con alcune interruzioni  -  ha avuto un consenso personale di massa. Nel suo caso il partito Forza Italia di fatto non esisteva sul territorio, non faceva quasi mai congressi, gli organi collegiali non avevano alcun peso, Berlusconi decideva tutto, consultando non più d'una dozzina di persone. (...) Dover gestire un partito o pezzi di partiti non è il forte di Renzi e mette comunque in discussione quel comandare da solo che sta bene a molti italiani ma non ai partiti che gli si oppongono in Parlamento né alla sua minoranza. Per questo ha abolito il Senato, dove elettoralmente non esiste il premio di maggioranza. Ha vinto per il rotto della cuffia riuscendo ad ottenere anche il voto della sua minoranza teoricamente dissidente ma di fatto consenziente avendo ottenuto molto poco in contropartita. L'editoriale di Eugenio Scalfari su la Repubblica.

L'Italia renziana non ha una marcia in più

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Finanziaria di Renzi, certo l'aumento del deficit

Che contiene una manovra economica basata sull’aumento del deficit (sul quale l’Ue chiude un occhio) e sulla riduzione delle tasse, a partire dalla più odiata e simbolica: la Tasi sulla prima casa. In attesa della “bollinatura” di Stato - così, in gergo tecnico, si chiama il timbro che si aspettava ieri dalla Ragioneria, necessario per mandare la legge all’esame del parlamento -, il bollino che marca la manovra 2016 è nell’ultimo provvedimento infilato in extremis, a sorpresa: l’innalzamento del tetto all’uso del contante. Ossia la sparizione di un limite che era stato introdotto per combattere l’evasione fiscale, il lavoro nero, il riciclaggio. Insomma: l’economia sommersa, divorata dall’illegalità, nello spazio grigio in cui convivono, a volte intrecciandosi, la frode al fisco e la frode al prossimo, fino alla violenza della criminalità organizzata. L'editoriale di Roberta Carlini sul Messaggero Veneto.

Finanziaria di Renzi, vedi quelle di Berlusconi

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Legge di Stabilità, gli errori del governo

Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan esultano. Hanno presentato una legge di Stabilità e Sviluppo che dovrebbe portare fuori l’Italia dall’abisso di una crisi economica che attanaglia il Paese da oltre sette anni. Secondo loro dovremmo riuscire in un’impresa solo qualche tempo fa impossibile. Crescere più della Germania, della Francia e della Gran Bretagna. Sogno o son desto? Gli italiani sono degli imbecilli? Le bevono sempre, e sistematicamente, tutte? Così ai tempi di Berlusconi (i ristoranti sono pieni, non è possibile trovare un posto in un aereo per andare in vacanza, gli italiani sono tutti benestanti…), così nel tempo del rottamatore Matteo Renzi. Il governo ha imbonito una parte del’Italia regalando 80 euro ai dipendenti con meno di 25mila euro di reddito annuo e prendendosi uno straordinario 40,8% di voti alle europee del 2014, dimenticandosi dei pensionati con la minima e dei lavoratori autonomi che faticavano (e continuano a faticare) ad arrivare a fine mese. Quanti commercianti e liberi professionisti si sono trovati nella situazione di non sapere come far fronte a pagamenti vari (Inps, tasse, ecc.) senza che il governo, per loro, muovesse foglia? A parte queste considerazioni, se il duo Renzi-Padoan avessero voluto fare provvedimenti davvero epocali, potevano percorrere un’altra strada. Copiare i discendenti di Albione. Studiare una finanziaria più intelligente e di sviluppo e chiedere al parlamento di approvarla o di bocciarla, senza discuterla. Nell’un caso il governo sarebbe andato avanti, non trovando ostacoli di sorta, nel secondo caso avrebbe dovuto rassegnare immediatamente le dimissioni e si andrebbe al voto anticipato. Non si sarebbe perso tempo in aride discussioni (che non sono mai di merito dei provvedimenti bensì di bottega, perché ogni parlamentare cerca di portare a casa finanziamenti per il suo campanile). Prendere o lasciare, insomma. Adesso, invece, dobbiamo aspettare che l’Europa si pronunci e trascorreremo settimane di astruse e inconsistenti polemiche sulle risorse tagliate o sulle risorse scaraventate a pioggia a destra o a manca, privilegiando gruppi di potere (i grandi industriali e anche quelli medi, ma non quel 95% del tessuto imprenditoriale nazionale che costituisce l’ossatura della nostra economia). Significativo l’appoggio incondizionato di Squinzi a nome della sua Confindustria. Si tratta di una legge che farà uscire il Paese dalle secche della crisi? No. Ci vuole ben altro. La spending review è rimasta, per motivi elettorali, nel cassetto di Palazzo Chigi Eppure di sprechi in Italia ne sono stati rilevati per decine di miliardi di euro. L’evasione fiscale è pari a otre 100 miliardi l’anno. Lo Stato ha crediti da riscuotere per oltre 500 miliardi di euro. Non si è dimostrato capace di arrivare al punto né con Berlusconi-Tremonti, né con l’abusivo (in quanto piovuto dal cielo, perdon, dal Quirinale, Mario Monti, né con il povero Enrico Letta, né con il gradasso Renzi. Che ha rottamato tutti quelli che hanno cercato di contrastare il suo progetto. Matteo piace agli industriali. Non c’é niente di male. Ce l’ha con i sindacati. I quali hanno commesso una miriade di errori che tutti siamo stati chiamati a pagare. Ce l’ha con  la minoranza (che prima era maggioranza) del suo partito. Accoglie a braccia aperte i voti del club Verdini. Un bel pasticcio. Un altro provvedimento che manca è la riforma dell’art. 67 della Costituzione. Centinaia di parlamentari hanno cambiato casacca. Chi anche due o tre. Non si fa una sana battaglia per impedire questo scempio della democrazia. Lo scilipotismo ormai ha fatto scuola. In parlamento devono andare uomini e donne qualificati eletti dai cittadini. Il rischio è che alle prossime elezioni vada a votare meno del 37% degli aventi diritto al voto, con la conseguenza che il governo del Paese venga consegnato ad una esigua minoranza. Questa non è più una grande democrazia. C’è una disaffezione che cresce e bisogna invertire la rotta. Renzi non lo sta facendo.

Marco Ilapi – 18 ottobre 2015

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