Conte 2 farà meglio del Conte 1?

Non c’è pace per il nostro capo del governo. Giuseppe Conte ha immaginato, giustamente, di averla sfangata con la sua giravolta di 180 gradi. All’approvare tutte le determinazioni, ma proprio tutte, di un esecutivo con tangente decisamente orientata verso destra, grazie alla prevalenza, al predominio di Matteo Salvini e della Lega, tant’è che alle elezioni europee il consenso popolare è andato soprattutto a Salvini, mentre il M5S ha denunciato un pericolosissimo dietro-front, tanto da mettere in discussione, all’interno del movimento, la leadership del suo capo politico, oggi ministro degli esteri, Luigi Di Maio. “Giuseppi” Conte a stare a Palazzo Chigi ci ha preso gusto. Gli piace e certamente ritiene di essere in grado di guidare la baracca governativa meglio di qualunque altro politico che si aggira dalle parti dei Palazzi del Potere. Nicola Zingaretti non lo infastidisce, perché ha già altre preoccupazioni sul suo capoccione. E’ governatore del Lazio deve affrontare molto probabilmente una mozione di sfiducia che presenteranno i suoi oppositori del centrodestra in regione Lazio. Altra grana, la guida di un partito democratico ormai allo sbando, stante la defezione di una sua componente, affluita alla corte di Matteo Renzi. E poi c’è da considerare che moltissimi elettori non sono davvero entusiastici delle modalità di riconquista delle ambite poltrone governative. Fino a qualche settimana fa, nei corridoi sia di Palazzo Madama che di Montecitorio, si sosteneva che la cosiddetta attraversata del deserto da parte dei democratici sarebbe stata lunga, faticosa e irta di insidie. E che per anni non avrebbero toccato palla, stante il vento in poppa che soffiava impetuoso a vantaggio dell’imbarcadero salviniano. L’incidente di percorso, causato dall’inopinato comportamento del capo leghista, il suo non ritirare la sua delegazione al governo (fatto che avrebbe accelerato la crisi e, assai probabilmente, convinto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a sciogliere le Camere) ha concesso al M5S, in primo luogo, ed al partito democratico, in seconda battuta, di rinserrare le fila e di mettersi immediatamente d’accordo per formare un nuovo esecutivo assai anomalo, affidandone il commando proprio a quel “Giuseppi” Conte che fino a qualche ora prima, in particolare, il pd aveva aspramente criticato per tutti quei provvedimenti che in 14 mesi di governo aveva avallato e sottoscritto. Zingaretti aveva sempre sostenuto che doveva esserci una svolta, con il cambiamento del personaggio Conte (quante volte abbiamo sentito parlare di discontinuità da parte de segretario piddino?) alla guida del governo da formare insieme ai prima detestati grillini. Stranamente, anche il pd ha fatto una bella giravolta a 180 gradi. I suoi elettori hanno ben capito quel che, in queste settimane, è successo. Non credo che tutti accettino le modalità di riconquista delle chiavi di accesso alle poltrone che contano da parte del pd zingarettiano. I più avrebbero preferito nuove elezioni, con un serio confronto su piattaforme elettorali alternative, non questo pasticciaccio che sa davvero di una manovra di palazzo. In questo il centrodestra ha ragioni da vendere. Non si può accusare il capo dello stato di essere il responsabile di quanto è accaduto. La Costituzione parla chiaro. In parlamento si  trovato un accordo per formare una nuova maggioranza. Ma lo sconcerto c’è ed è di tutta evidenza. L’accordo è stato trovato per cercare repentinamente di mettere nell’angolo la Lega di Matteo Salvini.Il gioco, per adesso, è riuscito, ma certamente il miracolo di un accordo che possa dirsi duraturo tra il Pd a guida Zingaretti ed il M5S a guida Di Maio (e questo è il sogno sia di “Giuseppi” Conte, che così potrà continuare a tessere le sue fila in più direzioni, sia del governatore del Lazio, sia del capo politico dei pentastellati). In questi giorni c’è inquietudine tra i grillini, con il “Giggino” piuttosto arrabbiato con l’avvocato pugliese, perché ha la sensazione che voglia fargli le scarpe. Lui, proprio lui, che lo ha inventato capo del governo gialloverde, oggi giallorosso o giallo fucsia, proiettandolo per di più sulla scena internazionale. Una curiosità, un particolare, quasi insignificante, ma che ha il suo peso specifico: Di Maio, capo politico dei Cinquestelle non ha mai incontrato personaggi di rilievo sul piano internazionale, “Giuseppi” Conte, grazie al suo ruolo di capo del governo italiano, sì. L’avvocato si è guadagno la ribalta che conta, ha partecipato e partecipa ai vertici con i capi di stato e di governo di Stati Uniti, Francia e Germania, Di Maio, invece, deve accontentarsi di essere “teleguidato”, giusto che, adesso, è stato destinato alla Farnesina, al ministero degli Affari Esteri, dalle feluche italiche. Lui che con l’inglese ed il congiuntivo non ha molta dimestichezza. Conte, in ogni caso, deve stare attento a non fare il gradasso. Per ora sembra godere della fiducia degli italiani, però un suo partito ancora non ce l’ha. Se lo deve letteralmente inventare. E il momento elettorale si avvicina. La prossima settimana è turno della piccola Umbria, poi sarà il turno dell’Emilia Romagna (test assai più ricco di significati) e Calabria. Quindi Toscana e le altre regioni. Nel 2020 ci sarà l’abbuffata di poltrone che contano. Il Pd ed il M5S vorranno fare a parte del leone. Come? Spartendosele. Infine, nel 2022, ci sarà l’elezione del nuovo presidente della Repubblica e, l’anno dopo, le politiche. I partiti si preparano per tempo per non arrivare impreparati al redde rationem. Per gli italiani il prossimo i 2020 non sarà un anno bellissimo. In specie se non calerà la pressione fiscale e se non saliranno i salari. Molti osservatori sostengono che il Conte 2 non ha il coraggio necessario per affrontare e risolvere i problemi del Belpaese. Gli imprenditori chiedono a gran voce interventi che favoriscano la crescita del Pil, da troppo tempo in fase depressiva. “Giuseppi” gli stupisca. Non cerchi di enfatizzar il suo ruolo e non si azzardi a dire che il 2020 sarà  anno bellissimo perché gli elettori si ricordano della sua frase di giugno sul 2019 che, decisamente, un anno proprio bellissimo non  è stato. Anche se lui ha certamente fatto”bingo”.

Marco Ilapi, 19 ottobre 2019

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Il buff del pokerista Salvini

Matteo Salvini, leader della Lega, l’ha combinata grossa. Ha dimostrato l’incapacità di comprendere l’istante giusto per staccare la spina che era il giorno dopo l’esito straordinario del voto alle elezioni europee. Il capitano si era persuaso che il premier Giuseppe Conte si sarebbe dimesso non appena lui glielo avrebbe chiesto. Ma così non è stato.

In politica non puoi mai pretendere di essere un  leader infallibile. Mentre è più facile dimostrarsi  di dimostrarsi piuttosto incapace. Ti illudi e pensi di poter fregare tutti. In un attimo rischi di non azzeccare una mossa vincente. Matteo dovrebbe umilmente chiedere informazioni all’ex presidente de consiglioe ed ex segretario dem Matteo Renzi.

Salvini è da anni sulla cresta dell'onda. I consensi sono passati dal 4% al 34. Un successo strabiliante.  E’ fin troppo evidente che si è montato la testa e non sembra disposto ad ascoltare più nessuno. Nemmeno il fido Giorgetti. Per Matteo Salvini è arrivato il momento critico. All’interno suo partito incominciano a prendere le distanze da sue le ultime mosse del segretario. Il mito del capo invincibile si è frantumato sulla riviera romagnola in questo caldo sole d’agosto. Le probabilità che il leader leghista esca con le ossa rotte dalla crisi da lui stesso scatenata sono aumentate. Salvini, dopo aver infilato una serie di successi, uno dietro l'altro, da qualche tempo le sta sbagliando tutte o quasi.

Ha sottovalutato il residente del consiglio Giuseppe Conte. In cuor suo Salvini era arciconvinto che il professore - catapultato da una cattedra universitaria a Palazzo Chigi quasi per caso - avrebbe accettato senza protestare la sua richiesta di dimettersi da capo del’esecutivo, aprendo immediatamente la corsa verso le elezioni politiche anticipate. Ha commesso un grosso, grossissimo, errore. Dopo un anno e mezzo a capo del governo, invitato ai summit mondiali alla pari di Trump e Putin, Conte non è più l'oscuro notaio del patto tra Salvini e Di Maio, ma si crede veramente il presidente del Consiglio italiano. In più è un avvocato, quindi di cavilli e regolamenti ci campa, ed è proprio nella gabbia di paletti costituzionali e parlamentari che ha intrappolato Salvini.

Ha trattato i Cinque Stelle come un partito che vale la metà della Lega. Corrisponde al vero che alle europee il movimento etero-diretto da Grillo (Beppe) e Casaleggio (Davide) ha dimezzato quasi i consensi, mentre la Lega li ha raddoppiati, ma alla Camera ed al Senato i penta stellati hanno quote di parlamentari fotografati al marzo 2018, quando il M5s era il primo partito italiano. Infatti il gruppo parlamentare M5s è il più numeroso, e nel pallottoliere di una crisi di governo sono soltanto quelli i numeri che contano.

Altro ancora. Matteo Salvini non ha considerato che in questo parlamento esistono pure altre forze politiche. Il Partito democratico. Forza Italia. E’ dal punto di vista della nostra carta costituzionale fin troppo elementare che i partiti oggi all’opposizione (come il Pd di Nicola Zingaretti, appunto) di cambiare repentinamente posizione sul M5S che, dal leader leghista, è stato accusato di remare contro questo esecutivo, tanto da pretendere la fine dell’esperienza del governo gialloverde, possano aspirare a rientrare nel gioco democratico per la riconquista di Palazzo Chigi. Il Pd sta per cogliere l'incredibile opportunità di passare dalla minoranza alla maggioranza di governo e magari starci fino a fine legislatura. Uno smacco per Matteo Salvini. Una sconfitta che fa male. Però, a dire il vero, ha gestito la partita in modo maldestro. Voleva la flat tax, la tassa piatta. Non l’ha ottenuta. Voleva il federalismo differenziato per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. E si è in alto mare. Di burrasca. Perché i grillini si sono opposti con tutte le loro forze. Volevano riaprire tutti i cantieri e si sono ritrovati un Danilo Toninelli che ha opposto ostacoli su ostacoli. Dal lato dei pentastellati, un po’ troppo, per la verità, vituperati dal Matteo lumbard, Luigi Di Maio e soci pur di evitare lo scioglimento delle Camere, l'addio ai benefit fin qui goduti, come cadreghe ministeriali e altro, legittimamente cercano di opporsi alla richiesta salviniana della resa dei conti (bisogna riflettere sul fatto che fino a poche settimane fa, l’idillio a Palazzo Chigi fra Matteo e Luigi appariva senza neppure una lieve ombra: il contratto reggeva). E’ chiaro che un ritorno alle urne in tempi ravvicinati avrebbe recato al M5S danni incommensurabili, per l’unica comprensibile reazione era barricarsi sulle loro posizioni, pretendere un chiarimento subito le comunicazioni del presidente del consiglio martedì 20 e vedere un po’ l’atteggiamento dei leghisti. Sfiduceranno Conte? Il professore andrà al Quirinae a rimettere il mandato? E se sì, cosa farà il presidente Mattarella? La situazione è molto complicata. La pretesa di Salvini: tolgo la fiducia a Conte così si vota, si è rivelata sbagliata.

Anche Giancarlo Giorgetti si è lamentato per come il capitano ha gestito la crisi che lui stesso ha scatenato.  Non di aver rotto con i pentastellati, ma di averlo fatto tardi e nel momento sbagliato. La spina andava staccata subito dopo le elezioni europee. I rapporti di forza tra Lega e M5s si erano ribaltati. Non ci sarebbe stato l'alibi della scadenza della finanziaria ,si sarebbe aperta la finestra del voto in modo più semplice. Matteo Salvini ha aspettato, passando le successive settimane a litigare con i grillini ma smentendo a ripetizione l'intenzione di voler rompere il contratto con i Cinque Stelle. Fino a cambiare repentinamente linea ad agosto, dopo aver «scoperto» che il M5s è No-Tav. Un fatto che sapevano anche le pietre della Val di Susa.

In più non ha ritirato la delegazione di ministri leghisti. Operazione che gli avrebbe garantito due cose poter rivendicare davanti al popolo di aver rinunciato alle «poltrone»; ma soprattutto avrebbe tagliato le gambe al governo Conte costringendolo a presentarsi dimissionario al Quirinale. Ennesima superficialità riguarda anche i rapporti con il Quirinale. Salvini riteneva che il capo dello Stato avrebbe limitato a prendere atto della sue decisione di chiudere con i grillini per andare al voto? La mossa di dire ok al taglio dei parlamentari ma poi subito al voto» (tra l'altro dopo aver detto che era solo un alibi per allungare i tempi), non ha fatto altro che irritare il Quirinale per la forzatura. L'ultimo e più tragico errore, però, sarebbe quello di fare una seconda svolta e tornare da Di Maio. A quel punto oltre a perdere la possibilità delle elezioni, la Lega rischierebbe di perdere la faccia. Se questo è uno statista...

Marco Ilapi, 18 agosto 2019

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Flat tax e condoni, le illusioni di Palazzo Chigi

Parecchie delle risposte che la Lega non sa dare alle esigenze del nord erano paradossalmente arrivate con le politiche economiche dei tanto criticati governi a guida Pd. Al contrario, in quattordici mesi di governo condiviso con il M5s la Lega ha assistito passivamente all’azzeramento della crescita del pil, degli investimenti e dell’occupazione anche nel nord Italia. E ha visto aumentare, anziché ridursi, la pressione fiscale. (...) Con le politiche economiche – per ora molto confuse – della Lega, con una ipotetica disastrosa minaccia di uscire dall'euro e anche soltanto con la continua pretesa velleitaria di piegare la Unione europea e l'Eurozona ad un sovranismo casereccio si alimentano invece le incertezze che scoraggiano le imprese e gli investimenti, nel nord e in tutta Italia.Il comento del prof. Marco Fortis su Il Foglio.

Le bugie che condannano la Lega di Salvini

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