L'Italia vorrebbe la cancellazione del debito pubblico

Il ministro dell'economia sembra che voglia chiedere che la Banca Centrale Europea cancelli parte del debito italiano attraverso il suo acquisto e l'emissione di nuova moneta in egual misura. Una specie di Quantitative Easing definitivo che alleggerirebbe con un colpo di spugna il gigantesco fardello che grava sulle spalle dell'Italia, consentendole di fare politiche espansive per rilanciare la crescita, e in particolare gli investimenti pubblici.Andiamo con ordine, però. Primo: la proposta Tria di monetizzazione del debito pubblico richiede che la Bce cambi il suo statuto, e per farlo serve l’unanimità degli stati membri. Probabilmente, se si votasse oggi, il No vincerebbe diciotto a uno, forse diciassette a due, se la Grecia si schierasse con noi. Solo noi e la Grecia, del resto, abbiamo interesse a tagliare il nostro gigantesco debito. Banalmente, perché solo per noi e la Grecia il rapporto debito/Pil rappresenta un problema. Fine della discussione, insomma. Il commento di Francesco Cancellato su Linkiesta.

 

Tria: "La Bce cancelli il nostro debito pubblico!"

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La manovra dei sovranisti al via

La manovra dei sovranisti, dunque, al via. Gli errori e le promesse di Luigi Di Maio e di Matteo Salvini. Si avvicinano le elezioni per il parlamento europeo e il governo si appresta a dare una dimostrazione che tutto va bene, madama la marchesa! Ma non è proprio così. Le bandiere de due partiti al governo sono state issate. I creduloni ci cascheranno. Almeno così pensano i nostri due baldi eroi. Il reddito di cittadinanza è un sussidio destinato a chi si trova sotto la soglia della povertà assoluta. E va bene. Anzi, benissimo. L’Istat l’ha fissata sui 780 euro a mese. In questa fascia si trovano circa 5 milioni di persone (1 milione e 300 mila famiglie), il 47% al Centro Nord e il 53% tra Sud e Isole. Saranno 164 mila le famiglie straniere. Se consideriamo il reddito di cittadinanza, la flat tax per le partite Iva, quota 100 e pace fiscale (é o no un condono, tanto aborrito dai pentastellati?) saranno circa 10 milioni le persone interessate. E i soldi? Da dove arriveranno, stante che la crescita ipotizzata sta diventano un vero e proprio miraggio? Quindi c’è il reddito di cittadinanza, oltre alla pensione di cittadinanza destinata agli over 65. Sono un'integrazione al reddito che dovrebbe permettere di raggiungere la soglia dei 780 euro previsti in finanziaria. Significa che, tra i beneficiari, chi vanta ad esempio un reddito di 200 euro mensili nel migliore dei casi potrà ottenere i 580 euro che gli mancano per raggiungere "quota 780". Il reddito di cittadinanza viene versato su una apposita carta, una normale PostePay. Molti sollevano dubbi e perplessità sulla fattibilità in tempi brevissimi (le elezioni europee saranno a maggio). Molti ricordano la storia degli 80 euro di Matteo Renzi. Forse a proposito. Nel senso che magari l’erogazione a migliaia di persone di questo reddito di cittadinanza consentirà di avere un grosso successo elettorale ma non risolverà affatto i problemi del Paese. Che sono la mancanza di occasioni di lavoro da Nord a Sud. A nostro avviso meglio avrebbe fatto il governo a far transitare le somme impegnate nel circuito imprenditoriale, obbligare le aziende ad assumere, certificare le assunzioni e, prima ancora, riformare i centri per l’impiego che, a detta di tutti gli osservatori, non assolvono al loro compito istituzionale se non in misura minima. Si sostiene, infatti, che sono pochissimi i lavoratori che vengono assunti dalle aziende grazie al loro lavoro. Per i motivi più vari: carenza degli organici, scarsa professionalità, insufficienze nelle strutture organizzative. Computer obsoleti. Incomunicabilità  tra i vari centri per l’impiego (che sono tra e competenze delle regioni, prima ancora delle vecchie provincie, abolite da Renzi. Luigi Di Maio vuole copiare la Germania. Ecco quel che succede a casa di Angela Merkel. Il programma di assistenza di Berlino prevede un assegno minimo di 416 euro al mese che cresce all’aumentare dei figli a carico. Comprende il pagamento dell’affitto e delle spese per il riscaldamento. In totale di circa 800 euro mensili: una cifra quindi molto simile a quella prevista dal progetto pentastellato. La caratteristica del modello tedesco è il ruolo dei centri per l’impiego, i Jobcenter. Una rete di uffici distribuiti in modo capillare per tutto il Paese e principali attoriall’interno del sistema tedesco. Sono i Jobcenter a erogare il sussidio mensile, questi controllano i profili economici e personali di chi fa la richiesta di sussidio, decidono chi ha diritto a beneficiare del reddito e chi no. I centri per l’impiego tedeschi hanno lo scopo di far rispettare il principio del “sostegno a patto di un impegno”. Chi riceve l’assegno deve fare tutto il possibile per trovare un lavoro. I Jobcenter verificano che il beneficiario segua corsi di formazione e riqualificazione professionale e mandi un numero mensile di candidature. L’impresa, per Di Maio e Salvini appare quindi davvero titanica. La Merkel spende per i suoi centri per l’impiego oltre 36 miliardi di euro l’anno, i dipendenti de centri per l’impiego sono più di 80 mila, mentre in Italia ci sono 552 centri, con poco meno di ottomila addetti, lo Stato spende meno di un miliardo di euro l’anno. Una bella differenza con quel che accade in Germania! Che fare in soli tre-quattro mesi? Un primo problema. L’Italia non è la Germania. Non è nemmeno la Francia. Né la Gran Bretagna né alla Spagna, forse assomigliamo alla Grecia. Ammettiamo pure  che tutto fili liscio. Centinaia di migliaia di persone si precipiteranno ai centri per l’impiego e in un batter di ciglia otterranno i promessi 780 euro al mese per un periodo sperimentale di 18 mesi. Fioccheranno le autocertificazioni fasulle. E notizia di qualche settimana fa che nell'ambito dell'azione a difesa della spesa pubblica, la Gdf  ha individuato  persone che hanno indebitamente usufruito di alcune sovvenzioni statali nei settori sanitario e assistenziale. Molti, per poter usufruire delle sovvenzioni, certi dell’impunità, sottoscrivono dichiarazioni fasulle. C’è, infine, l'esercito dei finti poveri: 6 su 10 ricevono un sussidio che non meritano. Il reddito di cittadinanza è tra le misure che il governo ha voluto insistentemente introdurre nella manovra economica. Una misura contro la povertà pensata per aiutare quelle persone e quei nuclei familiari che hanno un reddito inferiore a determinate soglie che garantiscono una vita dignitosa. Ma, in attesa che questo sussidio diventi realtà, c'è un problema ben maggiore a cui dover far fronte: l'alto numero di furbetti che con false dichiarazioni riescono a beneficiare di prestazioni sociali agevolate e esenzioni dai ticket sanitari, pur non avendone diritto. Una questione non da poco visto che, secondo i dati sulle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza nei primi sei mesi del 2018, sono almeno sei su dieci i cosiddetti finti poveri. Un dato allarmante in vista della possibile attuazione del reddito di cittadinanza, che allo stato attuale rischia di finire anche nelle tasche di chi non ne avrebbe realmente bisogno. A tal proposito il ministro dell'Economia Giovanni Tria ha annunciato un “piano anti-abusi”, mentre il vicepremier Di Maio ha paventato pene e sanzioni molto pesanti in caso di furbi. Ma quanti sono questi falsi poveri? Secondo i dati snocciolati dal Sole 24 Ore, su 8.847 persone controllate nei primi 6 mesi dell'anno, 5.435 non avevano le carte in regola per ricevere agevolazioni che sono state già richieste o addirittura incassate. Un numero elevatissimo. 

Marco Ilapi, 20 gennaio 2019

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Tutti contro l'Italia, dalla Ue al Fmi a Bankitalia

«Il tasso di crescita non è negoziabile». Attribuita al ministro dell’Economia Giovanni Tria, questa frase denuncia arroganza e insipienza. C’è arroganza poiché il ministro afferma come sicuro qualcosa che, il tasso di crescita da lui previsto, è assolutamente aleatorio. C’è insipienza poiché Tria confonde l’aggettivo “negoziabile” con “conseguibile”. Tutti gli organismi che, a vario titolo, si sono occupati (e preoccupati) dell’Italia, dalle agenzie di rating al Fondo Monetario Internazionale, dalla Commissione Europea ai ministri dell’Eurogruppo, persino gli Uffici tecnici del Parlamento italiano, hanno prodotto stime molto diverse da quelle italiane, ma convergenti fra loro e chiaramente inferiori. Il commento di Bruno Manfellotto sul Messaggero Veneto.

Di Maio e Salvini allo scontro finale con la Ue

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