Perché Renzi non può fermarsi

Crolla la produzione industriale e non poteva esserci peggiore cornice per gli ultimi sussulti di una politica frenetica nel suo immobilismo.

Il governo Conte 2 offre ogni giorno di più l’immagine di un lento sfilacciarsi. È una deriva negata dagli attori di questo faticoso dramma quotidiano: i Cinquestelle, i maggiori esponenti del Pd, da Zingaretti a Franceschini, ovviamente la sinistra di LeU.

Nonostante ciò il mosaico giallo-rosso perde i suoi tasselli un po’ alla volta. Un processo psicologico prima che politico.

Il tema è ancora il blocco della prescrizione nella riforma Bonafede.

Appare evidente che non sta granché in piedi l’idea di superare l’ostacolo con un emendamento infilato nel decreto Milleproroghe. È un’astuzia e come tale regge se c’è chi la asseconda. Se Renzi, ossia il protagonista non solo mediatico della vicenda, decidesse di chinare la testa e, diciamolo pure, di perdere la faccia, l’emendamento al Milleproroghe potrebbe essere la soluzione. Tutti lo approvano nella maggioranza, magari dolcemente obbligati da un voto di fiducia, e si passa oltre. Tuttavia la realtà è più complicata. Il marchingegno escogitato a Palazzo Chigi per dar ragione a Bonafede sulla prescrizione, ma senza farlo troppo vedere, presenta troppi rischi. Il principale è il fondato sospetto, come sostengono alcuni costituzionalisti, che la riforma sia incostituzionale. Quindi un pasticcio politico pensato per tenere in vita l’esecutivo giallo-rosso, più che per risolvere il rebus del processo penale, rischia di provocare più guai di quanti ne risolve.

In ogni caso espone con qualche leggerezza il presidente della Repubblica, chiamato ad avallare o a rigettare una misura contestata dagli avvocati e da un notevole segmento della cultura giuridica. Come si sa, è sempre opportuno "coprire la corona", anziché creare disagio al Quirinale con riforme male assemblate. Ecco perché la furbizia di gonfiare il Milleproroghe in forme improprie ricorda quello che diceva Bismarck a proposito di un certo modo di legiferare: «Fate che i cittadini non sappiano mai come vengono confezionate le leggi e le salsicce». Non sorprende allora che Renzi abbia confermato il suo "no" a ogni genere di strumento legislativo volto a puntellare Bonafede. Giunti a questo punto, non c’è che reggere la sfida, quali che siano le difficoltà. E non sono poche. Una certa parte di Italia Viva non è affatto contenta di aprire la crisi di governo, con il pericolo di perdere tutto e scivolare verso le elezioni anticipate.

Ciò significa che Renzi si sente piuttosto solo in queste ore. E il fatto che abbia pensato di procedere comunque contro il compromesso, vuol dire che ogni altra decisione sarebbe più svantaggiosa per il suo destino politico. Quanto all’ipotesi di una mozione di sfiducia personale al ministro della Giustizia, è chiaro che equivale a tagliare una gamba al Conte 2. Bonafede è il capo della delegazione 5S al governo, non è un personaggio minore ed è impegnato in una riforma-bandiera del movimento in crisi. I casi del passato (come la mozione contro il tecnico indipendente Mancuso al tempo del governo Dini) erano diversi. La verità è che per la prima volta i sassi cadono nello stagno dell’immobilismo. Ed è sempre più evidente che qualcuno alla fine avrà perso la sua credibilità.

Stefano Folli – la Repubblica – 11 febbraio 2020

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Il Belpaese non ha un vero governo

Quando la politica pianta bandierine identitarie e sfoggia i muscoli, si sottrae al dovere di governare. Preferisce una sorta di culturismo politico a beneficio degli elettori, per accreditare la propria forza. La cosa singolare è che quasi sempre questi riti servono in realtà a velare una debolezza; e invece di contribuire alla soluzione di un problema, lo complicano artificiosamente, esagerando e radicalizzando contrasti che restringono qualunque margine di mediazione. Quanto sta avvenendo in materia di prescrizione tra Movimento Cinque Stelle e Italia viva rispecchia perfettamente il fenomeno. Le minacce incrociate tra il Guardasigilli grillino Alfonso Bonafede e il capo politico Vito Crimi, e il leader di Iv, Matteo Renzi, trasmettono la sensazione sgradevole di una sfida giocata su un terreno costituzionalmente delicato. Il controverso provvedimento che i Cinque Stelle vorrebbero imporre appare un pretesto. Le considerazioni di Massimo Franco sul Corriere della Sera.

La confusione (massima) al potere

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Se i parlamentari non conoscono i dieci comandamenti

Uno spettacolo surreale e a suo modo agghiacciante: definirei così il video mandato in onda qualche giorno fa dalla trasmissione televisiva delle Iene in occasione del Natale. Non so quanti lettori l’abbiano vista: sugli schermi è passata una breve galleria di deputati e senatori — del cui nome è opportuno che non si perda la memoria: Dal Mas, Bucalo, Ciaburro, Modena del centrodestra, Giacobbe del Pd, Vallone (ex, della Margherita), Giarrusso (5 Stelle), Bonafede (5 Stelle anche lui e ministro della Giustizia) — i quali, intervistati davanti ai palazzi del Parlamento su alcune nozione elementari di storia del Cristianesimo ( tipo dov’è nato Gesù Cristo) si sono prodotti in una serie di silenzi imbarazzati e di sfondoni madornali (come collocare Betlemme «in Africa»). Ancora peggio: per mascherare la propria ignoranza gli interrogati cercavano di fare gli spiritosi, ciurlavano nel manico (per esempio alla domanda di cui sopra rispondere «in una stalla...»), si producevano in patetiche risatine di sufficienza o come marpioni cercavano di schivare l’intervistatrice senza darla troppo a vedere.

Che cosa si può dire di fronte a uno spettacolo simile? Innanzi tutto questo, forse: che anche se siamo giustamente invitati ogni giorno a non cadere nella trappola dell’antipolitica, ci vergogniamo di essere rappresentati da personaggi di questa fatta gente. Che siamo parecchi italiani a trovare insopportabile che simili figuri siano incaricati di fare le leggi a cui poi noi siamo chiamati ad obbedire. In parecchi a considerare a dir poco ignobile un sistema elettorale che consente a un segretario di partito — a un Renzi, a un Di Maio, a un Salvini, a un Berlusconi qualsiasi — di scegliere a proprio arbitrio chi dovrà rappresentarci, scaraventandoci così tra i piedi simili incroci tra il semianalfabeta e il guitto da Commedia dell’arte unicamente perché questi promettono di obbedire senza fiatare ai loro voleri. Perché diamine gli italiani, mi chiedo, specie quelli che hanno letto un paio di libri, non dovrebbero disprezzare la politica e le sue istituzioni se per primi la disprezzano i partiti facendo arrivare in Parlamento e nelle istituzioni questa gente?

Ma ciò detto viene anche da farsi un’altra domanda: e cioè, va bene che c’è stata la secolarizzazione, che oltre la metà degli italiani non si sposa più in chiesa, ma dove sta scritto che la secolarizzazione debba per forza significare non sapere dove si trova l’antica Giudea (chiamiamola pure Palestina), dove sta scritto che alla domanda «che cosa dicono i dieci comandamenti?» il secolarizzato debba farfugliare per tutta risposta un imbarazzato «non fornicare» e basta? Perché alla fine è questo ciò che più colpisce di quel video: l’assoluta mancanza di cultura religiosa che esso testimonia. Dirò meglio: l’assoluta mancanza di quelle conoscenze che ogni persona appena istruita sa essere parte irrinunciabile della cultura in generale. Ma non lo sanno evidentemente i parlamentari della Repubblica. Era questa la cosa più intollerabile di quel video: il tono stupidamente divertito e sforzatamente ironico della loro voce, il sorrisetto ebete e lo sguardo un po’ sperduto del loro volto, lo stupore nel vedere che qualcuno potesse rivolgergli delle domande sulla nascita di Cristo anziché sul futuro di Matteo Renzi. Che qualcuno potesse addirittura supporre che essi fossero capaci di rispondere.

Ernesto Galli Della Loggia – Corriere della Sera – 27 dicembre 2019

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