Il gioco d'azzardo di Londra costerà caro agli inglesi

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A Londra è in atto un dramma di proporzioni storiche. La decisione di uscire dall’Unione europea (Ue), presa con il referendum del 23 giugno 2016, ha attivato una catena di eventi che nessuno è in grado di governare. Certamente, in quella decisione, un ruolo importante è stato esercitato da giocatori d’azzardo (come Nigel Farage) che hanno convinto il 51,89 per cento degli elettori che Brexit avrebbe portato il Paese verso un futuro radioso. Tuttavia, dietro quel dramma, c’è il fallimento di una intera classe dirigente. Essa ha commesso diversi errori. Due in particolare. Il commento del prof. Sergio Fabbrini su Il Sole 24 Ore.

Brexit, il segno di un fallimento in salsa londinese

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May sonoramente sconfitta, non lascia Downing Street

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432 a 202. Raramente una sconfitta politica è stata tanto bruciante come quella subita da Theresa May ieri sera, col voto del Parlamento che ha bocciato la proposta di accordo tra Regno Unito e Unione Europea in seguito al referendum sulla Brexit. Bruciante, perché la May ha lavorato per anni a quell’accordo, a suo dire il migliore possibile, se non l’unico. Ancor di più, perché quella bozza è stata bocciata sia da chi nell’Unione Europea vorrebbe tornarci, sia dall’ala dura di chi vorrebbe andarsene con un no deal, senza alcun paracadute.Semplicemente, il Regno Unito verrebbe cancellato da ogni trattato europeo, da quelli di libero scambio, a quelli relativi al movimento delle persone, a quelli finanziari. Non si dimetterà, Theresa May, nonostante il voto di sfiducia di oggi, nonostante una forza politica ai minimi termini. L'editoriale di Francesco Cancellato sul sito linkiesta.

Brexit al via, Regno Unito ed Europa nel caos

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Il governo britannico nel caos

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      Theresa May e la devastante testardaggine di un Primo Ministro. E’ perlomeno paradossale che uno Stato col nome di Regno Unito persegua con incredibile e cieca caparbietà un progetto di "separazione"come il Brexit, i cui ultimi sempre più disordinati e ormai incontrollabili capitoli stanno mettendo a nudo non solo le profonde lacerazioni del governo ma anche alcuni problemi identitari di fondo. Ma procediamo con ordine.

     Le ormai caotiche sedute di Westminster – ultima quella dove il leader dell’opposizione è stato accusato di aver mormorato “stupid woman” nei confronti di Theresa May - mostrano un Primo Ministro che con stupefacente e pericolosa cocciutaggine continua a difendere il Brexit e ad escludere un secondo referendum, aggrappandosi alla presunta obbligazione morale di “rispettare” (sic) i risultati del referendum di due anni fa, in cui, parole sue, “gli elettori sapevano quello che volevano” (sic). In realtà, pochi pretesti negli annali della recente vita politica europea sono stati più scandalosamente falsi e fraudolenti di questo e il suo utilizzo getta una luce poco lusinghiera sull’onestà e sull’intelligenza di tutti coloro che se ne fanno uno scudo. Quello (il referendum del 2016) che senza mezzi termini è stato definito “a pup”(una patacca) da un consumato politico come Lord Heseltine viene ostinatamente presentato come un attendibile esercizio di democrazia…Evidentemente, non ci sono limiti alla faccia tosta, ma sfoggiarla anche in Parlamento ne aumenta le macchie.

     Di fatto, quel referendum che il Primo Ministro britannico continua a richiamare come una litania nelle sue dichiarazioni costituì una delle operazioni più goffe e avventuriere delle politica britannica degli ultimi settant’anni: chi lo indisse e lo promosse trascurò con voluta e irresponsabile nonchalance le implicazioni legali, procedurali, burocratiche ed economiche che sarebbero uscite dall’otre dei venti. Analoga ignoranza o indifferenza nei riguardi dei meccanismi comunitari e delle conseguenze mostrarono a loro volta i sostenitori dell’uscita, innescando così un gigantesco imbroglio, una palude in cui da due anni a questa parte si agita un intero Paese. Non sono mancate nel frattempo voci più sensate e realiste da entrambi gli schieramenti politici – vedi anche gli ammonimenti di John Major e di Tony Blair - che in varie occasioni hanno cercato di sfatare i miraggi di fantomatiche alleanze commerciali alternative alla UE, mettendo in guardia il governo  dai pericoli dell’isolazionismo. Analoghi richiami alla ragione e avvertimenti sono stati lanciati poi anche da istituzioni pubbliche e private, e  quindi super partes, che hanno espresso la loro profonda preoccupazione per lo scenario di crescente incertezza che grava sul futuro dell’economia britannica a causa del Brexit.

      Nessuno di questi altrimenti ragionevoli ammonimenti e richiami sembra aver avuto effetto e la folta banda degli spavaldi difensori “dell’indipendenza e dell’onore” britannici, fra cui spiccano ingloriosamente personaggi come Jacob Rees Mogg e Nigel Farage, continua a vociare e ad emettere dichiarazioni bellicose, attività tipica dei demagoghi o dei bulli da strapazzo. A dispetto di costoro e delle velleitarie rassicurazioni del Primo Ministro, la sterlina ha comunque imboccato da tempo un sentiero in continua discesa…La fiaba crollerà del tutto quando i cittadini britannici si ritroveranno soli e prigionieri della loro isola, con milioni di immigrati comunitari che assicurano i servizi di tutti i generi. Che ne sarà di loro? E che ne sarà dei voli, dei passaporti, dei trasporti, delle comunicazioni, delle transazioni commerciali, dei servizi finanziari, tutte aree fino ad oggi ormai fisiologicamente integrate con l’Europa da ben 40 anni? L’esperienza mostra che le irrazionali caparbietà individuali e nazionali costano care e i loro spiacevoli effetti non si esauriscono nel giro di pochi anni.

     Parallelamente al suddetto incaponimento da manuale o dietro di esso, agiscono ulteriori fattori non meno significativi e che con la UE hanno ben poco a che fare. Lo spettro di elezioni anticipate spunta a ogni seduta del Parlamento e gli irrigidimenti o la richiesta di concessioni sul Brexit sembrano in realtà dettati dall’obiettivo del governo, e quindi dei Tories, di rimanere al potere e dei Laburisti di riprenderselo. Anche le affermazioni del Primo Ministro che un eventuale secondo referendum aumenterebbe la divisione del Paese, nascondono in realtà il timore che un eventuale esasperato remain potrebbe far sgonfiare come un pallone le isterie del Brexit e trascinare nella sua caduta anche lei stessa e il governo.

     Molti elementi suggeriscono che dietro quest'annosa tragicommedia, dietro le manovre politiche e le trionfalistiche promesse di un migliore futuro “da soli” si agiti un fantasma a quanto pare mai debellato, e cioè, un problema identitario. Anacronisticamente, dopo aver combattuto una seconda guerra mondiale in difesa delle nazioni europee aggredite da Hitler, in un momento storico dove il frazionamento è ancora più pericoloso che mai, quando le spinte egemoniche russe rivaleggiano con quelle americane, con una Cina che ha ormai il dominio economico dell’Asia e si appresta ad averlo anche dell’Africa, con un Impero ormai in soffitta e il Commonwealth nel museo degli intenti, con un territorio nazionale costituito da entità potenzialmente eccentriche e anarchiche, dalla Scozia all’Irlanda del nord, la Gran Bretagna o comunque molti suoi cittadini non riescono a sentirsi parte di un’Europa alla cui civiltà essi hanno gloriosamente contribuito. Molti non hanno ancora metabolizzato il cambiamento. Troppi continuano a vivere in un mondo irreale, proiettato verso oceani dove non esistono più colonie britanniche, dimenticando che di fronte a Dover sta in realtà la continuità morale e anche geografica della Gran Bretagna. Del resto, non molte migliaia di anni fa il canale della Manica era solo una pianura attraversabile a piedi…

     Questo è il vero e tragico problema del Brexit, la faglia psichica alimentata e inquinata dai demagoghi e dagli avventurieri di turno. Prima gli elettori britannici si liberano di costoro e prima le scogliere di Dover ridiventeranno uno dei tanti bastioni europei.

Antonello Catani, 20 dicembre 2018

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