Gli anticorpi neutralizzanti del virus Sars Cov-2

Un’analisi sierologica, sviluppata dall’Istituto di Biochimica e Biologia cellulare del Cnr e dall’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, ha reso  possibile identificare gli anticorpi neutralizzanti del virus SARS-CoV2 in ambienti di prelievo a bassi livelli di biosicurezza. La tecnologia, descritta su Frontiers in Immunologypotrà essere utilizzata anche nello sviluppo di molecole in grado di inibire l’infezione virale.

L'emergere infatti di nuove varianti di SARS-CoV-2 potrebbe influenzare l'efficacia del vaccino. Pertanto, la valutazione della capacità dei sieri di neutralizzare le varianti preoccupanti aiuterà a monitorare lo stato immunitario della popolazione dopo la vaccinazione o l'infezione. Un gruppo di ricercatori dell’Istituto di Biochimica e Biologia cellulare  del Consiglio Nazionale delle ricerche di Napoli, in collaborazione con l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, ha messo a punto un test per determinare il livello di anticorpi neutralizzanti anti-SARS-CoV-2 nel sangue umano di individui vaccinati o infettati. Identificare il livello di tali anticorpi, denominati nAbs, in grado di bloccare lo sviluppo del virus è, infatti, un importante indice previsionale per ciò che concerne la risposta immunitaria in pazienti affetti da Covid-19 e in persone vaccinate.“ 

Di norma la presenza di questi anticorpi nel siero viene determinata attraverso il test di microneutralizzazione, nel quale viene utilizzato il virus vivo con capacità infettante: per questo motivo, il test può essere effettuato soltanto in laboratori ad alto indice di sicurezza, identificati come BSL3”, spiega Piergiuseppe De Berardinis, primo ricercatore del Cnr-Ibbc e autore della ricerca, pubblicata sulla rivista Frontiers in Immunology. Lo studio in oggetto consente, invece, di effettuare analisi in condizioni di contenimento che sono meno rigorose, in ambienti con livelli di biosicurezza 1 e 2. “Abbiamo messo a punto un test basato su pseudovirus, difettivi nella replicazione, le cui sequenze possono essere modificate inglobando le mutazioni virali: ciò consente una più rapida verifica dell’attività neutralizzante degli anticorpi nei confronti delle varianti del virus, che destano particolare preoccupazione nella popolazione per il loro grado di infettività”, aggiunge il ricercatore. “Anche i test sierologici effettuati con il metodo ELISA, nei quali una superficie plastica viene rivestita con antigeni virali in grado di rilevare l’eventuale presenza di anticorpi, possono essere svolti in ambienti di quest’ultimo tipo e sono molto utili per la diagnosi, ma non riescono a stabilire se la risposta anticorpale rinvenuta sia effettivamente neutralizzante”.

Tale tecnologia è implementabile per uno screening su larga scala e potrà essere utilizzata anche per pianificare strategie di vaccinazione maggiormente personalizzate. “La recente pandemia da SARS-CoV2 ha ribadito l’importanza dell’immunologia e soprattutto il valore di questa scienza, la capacità di trovare un’applicazione clinica alle scoperte scientifiche che avvengono nei laboratori di ricerca: questo studio ne costituisce una ulteriore dimostrazione”, conclude De Berardinis.                              Patrizia Lazzarin, 15 novembre 2022   

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Così interagisce spike della variante Omicron

Come avviene l'interazione della proteina spike della variante Omicron, molto contagiosa, con gli anticorpi prodotti dal nostro organismo? Un'innovativa procedura bioinformatica è stata messa a punto per spiegare l'elevata trasmissibilità di tale variante e prevedere gli effetti di possibili nuove varianti Covid sulle difese immunitarie già sviluppate. Una ricerca svolta in collaborazione tra l'Istituto di scienze dell'alimentazione del Consiglio nazionale delle ricerche di Avellino e il Dipartimento di chimica e biologia "A. Zambelli" dell'Università di Salerno, nata a seguito di problematiche discusse nel corso di incontri con il Joint Research Centre della Commissione Europea, ha approfondito lo studio della proteina spike della variante Omicron del SARS-CoV-2. L'obiettivo è stato indagare due aspetti: da un lato comprendere come questa interagisce con il recettore ACE2 - cioè la via di ingresso nelle nostre cellule -, dall'altro verificare se gli anticorpi sviluppati dall'organismo umano contro la proteina spike delle precedenti varianti riescono in qualche modo a "riconoscerla".

Lo studio, pubblicato su "Molecules", ha richiesto la realizzazione di una procedura bioinformatica automatizzata con la quale è stato possibile simulare le variazioni degli amminoacidi della proteina spike presenti nella variante Omicron. Questo ha permesso di ottenere dei modelli di interazione della nuova proteina spike con gli anticorpi, sulla base di oltre 150 modelli molecolari di complessi spike-anticorpo già noti per le precedenti varianti del virus, e di analizzare le caratteristiche dell'interazione evidenziando come la nuova proteina spike possa essere riconosciuta o meno dagli anticorpi sviluppati contro le vecchie varianti.

"Il lavoro svolto ha dimostrato che molti anticorpi già presenti nel nostro organismo possono riconoscere anche la proteina spike della variante Omicron, sebbene con alcune differenze nelle interazioni molecolari che si possono formare", spiega Angelo Facchiano (Cnr-Isa), responsabile dello studio assieme ad Anna Marabotti per l'Università di Salerno. Inoltre, studiando anche il meccanismo d'interazione con il recettore ACE2, abbiamo evidenziato alcune differenze rispetto alla proteina spike delle varianti precedenti, offrendo una possibile interpretazione della maggiore facilità di trasmissione della variante Omicron". In previsione della comparsa di nuove varianti questa ricerca potrà avere importante significato. La procedura bioinformatica messa a punto potrà infatti essere utilizzata per simulare le sostituzioni di amminoacidi presenti in nuove varianti e dare in poco tempo una stima della capacità delle difese immunitarie offerte dagli anticorpi già presenti nel nostro organismo - sviluppati per effetto delle vaccinazioni o di precedenti infezioni in grado di contrastare un'eventuale nuova variante. "Con questa procedura sono state sufficienti poche settimane dalla scoperta della variante Omicron e dalla dichiarazione di "Variant Of Concern" da parte dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per ottenere i risultati circa le interazioni degli anticorpi. È quindi uno strumento che potrà essere efficacemente messo a disposizione della comunità scientifica in caso di nuove varianti del virus. La procedura messa a punto ha suscitato interesse ed approvazione da parte del Joint Research Centre della Commissione Europea".

Patrizia Lazzarin, 17 agosto 2022

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Evoluzione del virus dopo la variante omicron

  • Pubblicato in Esteri

Il genoma del virus sars-cov-2 è lungo trentamila lettere

Gli scienziati cercano di rappresentare le possibili evoluzioni del virus in un "paesaggio adattativo", uno spazio iperdimensionale composto di picchi e di valli. Più sono alti i picchi che il virus scopre e più diventa "adatto" ovvero efficace nell'infettare le persone. Più il virus si replica, incrementando il numero di mutazioni, e più aumenta la probabilità che trovi nuovi picchi. Il commento di Sarah Zhang sul settimanale Internazionale.

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