Politica internazionale e reality shows

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Come sempre avviene in casi simili, l'incontro a Singapore fra il Presidente americano Donald Trump e il Premier nord coreano Kim Jong-un ha fatto scomparire o comunque oscurato in quei giorni buona parte di quanto avveniva d'importante nel resto del mondo.

Anche per le "notizie" è una questione di mode o di andare incontro o anzi di eccitare le attese popolari. Prova ne è che adesso i mondiali i calcio in Russia stanno occupando le scene mediatiche a scapito anche del summit di Singapore, per non parlare del quasi dimenticato G7. Insomma, adesso il pallone è al centro dell'attenzione... Curiosamente, la spasmodica attenzione rivolta tempo addietro all'Ucraina o alla Siria si è misteriosamente placata, mentre, vergognosamente, gli striscianti massacri in Yemen sembra non interessino nessuno..

L'importanza ed esistenza stessa delle notizie può quindi essere paragonata a una fisarmonica che si estende o restringe in base a capricciosi e inscrutabili criteri. Il recente assassinio e l'immediata resurrezione del giornalista russo Babchenko costituiscono un esilarante esempio della rapidità con cui i mass media si precipitano a scavare attorno a intrighi e misfatti veri o solo presunti per poi disinvoltamente dimenticarli un minuto dopo e passare ad altro. Al di là delle chiacchere sulle benemerenze dell'informazione, la verità è di gran lunga più banale: dura lex sed lex, ogni giorno bisogna "vendere" notizie, in modo da poter pagare stipendi e azionisti. La teatralità, condita di musiche appropriate, costituisce così uno strumento essenziale di questa fatica quotidiana. Non a caso, alcuni famosi giornalisti della BBC – per esempio, l'australiana Yalda Hakim di origine afgana e il veterano inglese Stephen Sackur - si rivolgono alla loro audience in questi termini: come to my show. Candidamente, essi stessi definiscono le loro notizie come uno spettacolo.

Non tutto è peraltro così innocente. Tenendo conto dell'esilarante masquerade del caso Babchenko, dove tutto sembrava vero e dove tutto si è dimostrato fraudolento, anche i più creduloni possono rimanere perplessi di fronte alle fanfare con cui il governo inglese ha accusato la Russia di aver organizzato il tentato avvelenamento del'ex- agente segreto russo Skripal e di sua figlia. Le accuse sono tanto più sospette non solo perché sembrano essere uno strumento di distrazione quasi provvidenziale nell'ormai incontrollabile caos governativo che circonda il Brexit, ma anche perché esse sfidano il buon senso: che bisogno aveva infatti un leader in campagna elettorale vincente come Putin di ordinare, così platealmente, l'eliminazione di un insignificante pensionato dei servizi segreti? Considerare il leader russo come il mandante di una simile azione senza senso corrisponde a ritenerlo uno stupido, cosa che i fatti smentiscono, mentre appare di gran lunga più plausibile il ruolo di servizi segreti di vario genere e ordine, se non anche di tracce mafiose. Difficile, infatti, sottovalutare le sotterranee ramificazioni della rossiyskaya mafiya (mafia russa), talvolta chiamata anche Bratva (Fratellanza).

Il caso Babchenko, insomma, illumina in maniera poco edificante il preteso attentato russo a Skripal e dovrebbe invitare alla massima prudenza nei riguardi delle pompose fanfare mediatiche di tutti i tipi.

Il suddetto preambolo non è "un fuori tema" o una digressione accidentale. In realtà, questa sembra la cornice più corretta, la prospettiva più realistica per interpretare ciò-che-è-apparso a Singapore. Può darsi infatti che negli affari internazionali molte cose rimangano nascoste e segrete, ma considerando che regimi e istituzioni si giustificano e si autolegittimano in base a ciò-che-appare, vale comunque la pena di attribuire alle dichiarazioni e al modo con cui esse sono espresse un ruolo non insignificante.

La prima cosa che quindi viene in mente è che abbiamo assistito a un classico fuoco d'artificio, alimentato in parte dai mass media ma anche da uno dei protagonisti, e cioè, dallo stesso Donald Trump. Intanto, nonostante le trionfalistiche e auto-elogiative dichiarazioni di quest'ultimo, già il fatto che un giovanotto di un Paese periferico, in odore di spietato dittatore e rampollo di una dinastia feudale, sia riuscito ad attirare a Singapore un baldanzoso 72enne, Presidente della democratica nazione più potente del mondo, appare una vittoria nord-coreana e non americana. Non meno significativo è il clamoroso mutamento di opinione riguardo al suddetto rampollo, definito fino a qualche mese fa un "uomo-razzo" e "un pazzo", e dopo il colloquio addirittura uno smart guy (un uomo in gamba), senza il benchè minimo accenno al fatto che "l'uomo in gamba", oltre a sbarazzarsi senza esitazioni di zii e fratellastri, è anche il leader di una degli Stati più fanatizzati del mondo (vedi le gigantesche e colorate parate militari e i giubilanti delirii popolari o il tono duro e arcigno della presentatrice della TV di Stato, Ri Chun-hee).

In questo contesto, la tavolozza impressionistica di aggettivi utilizzati dal Presidente per caratterizzare la situazione, da "phantastic" a "very good", etc., sembra l'inebriante e contradditorio alleato verbale di una tacita manovra auto-difensiva nei confronti delle perduranti spade di Damocle delle investigazioni a suo carico, a cui si è aggiunta in questi giorni anche la denuncia della procura generale di New York di uso fraudolento e illegale della Trump Foundation. Non va inoltre dimenticato che l'auto-proclamato e supposto successo di Singapore fa il gioco del partito repubblicano, che si vede minacciato dalle incipienti elezioni di medio termine e serve in qualche modo a imbonire coloro che potrebbero essere stanchi delle inesauribili intemperanze del presidente.

Altro che de-nuclearizzazione...

Se si va a scavare attorno allo "historic summit" con cui gli eccitati mass media e i cortigiani di turno hanno definito l'incontro e i suoi risultati, di concreto rimane solo l'incontro di poco più di mezz'ora, un memorandum d'intesa vago e senza specifici impegni e molte strette di mano. Paradossalmente, le uniche cose concrete sono saltate fuori nel tipico soliloquio di Donald Trump dopo l'incontro, che molto probabilmente deve aver sorpreso i suoi stessi stretti collaboratori prima ancora degli alleati asiatici (Corea del sud e Giapone). In base a tale soliloquio, le tradizionali esercitazioni militari congiunte USA-Corea del sud, definite come war games, saranno sospese, anche perché "costano troppo". Che qualche milione di dollari sia troppo rispetto ai 700 miliardi di budget militare è evidentemente un concetto difficile da afferrare. Così come declassare a war games, infantilizzando quindi le seriose esercitazioni militari, non può certo far sorridere i generali americani. Cosa poi abbiano pensato in cuor loro i dirigenti di Seul e Tokyo di fronte a questo improvviso abbandono del deterrente delle esercitazioni militari non è invece difficile da immaginare, cosa che pare spiegare l'immediata missione in quei luoghi dell'infaticabile neo Segretario di Stato Mike Pompeo, verosimilmente per rincuorare e blandire gli animi.

Sempre al regno delle fanfare appartengono del resto i successivi twitter del Presidente in base ai quali ormai si può dormire tranquilli, visto che "non esiste più una minaccia nucleare da parte della Corea del nord" (sic). La faciloneria e disinvoltura di dichiarazioni di questo tenore faranno un giorno sorridere i posteri, ma per il momento sono inquietanti.

Solo gli ingenui o velleitari, Trump incluso, possono infatti pensare che nel giro di un paio d'ore o dopo qualche mese di contrattazioni decenni di tensioni, una guerra sanguinosa, i sospetti della Cina e del Giappone o le apprensioni della Corea del sud si scioglieranno grazie al savoir faire istrionico di un Presidente e alla corpulenta bonomia del suo Segretario di Stato. Già solo credere che i Nord Coreani si sbarazzeranno facilmente della loro unica arma di contrattazione (i dispositivi nucleari) senza analoghe pesanti contropartite (smilitarizzazione americana della Corea del sud e del Giappone) costituisce uno scenario poco credibile. Ancora più ingenuo e pretestuoso è poi attribuire alle politiche del presidente americano, come alcuni hanno fatto, l'andamento positivo dell'economia, come se cioè vi fosse una comprovata e automatica elasticità fra eventi politici e andamento globale dell'economia, che solo in parte coincide con l'andamento delle borse. In realtà, già da tempo vi era stato un progressivo recupero della disastrosa congiuntura del 2010, avvenuta specialmente nel mercato del lavoro, delle vendite a dettaglio e nel settore immobiliare.

Curiosa coincidenza: il trionfalismo delle velleitarie dichiarazioni sul summit di Singapore ricorda quello degli inizi e primordi del Brexit. Anche quest'ultimo venne inizialmente presentato come una rosa senza spine. La deriva sempre più malandata del Brexit sta mostrando quanto fossero numerose in realtà le spine....

Sottolineare gli aspetti cosmetico-impressionistici del summit di Singapore serviva a far risaltare un fatto ben più significativo: la stragrande maggioranza dei mass media ha esaltato Singapore come un evento storico, quasi dimenticando ciò che è avvenuto al G7. Se già l'imposizione di tariffe anche ai cosiddetti "alleati" – pochi aggettivi possono suonare più bizzarri di questo a distanza di 73 anni dalla fine della seconda guerra mondiale – è una mossa incongrua, del tutto clamorosa è la giustificazione di tale mossa. L'affermazione infatti che le vecchie tariffe costituivano una national security threat (una minaccia alla sicurezza nazionale) ha letteralmente scatenato la furia dei cosiddetti alleati, il Primo ministro canadese in testa, che ha definito un insulto e inaccettabile la nozione di minaccia alla sicurezza nazionale in particolare nei riguardi del Canada. In altre parole, per la prima volta dopo 70 anni, non solo il ruolo dei vecchi alleati è messo impulsivamente in forse, ma una nazione geograficamente contigua e storicamente parente come il Canada reagisce indignata e furente. Mai si era assistito a uno scricchiolio e a un'incrinatura di questo tipo, che aggiunti alle divergenze sul clima, alla sollecitazione di un aumento delle spese militari e altro ancora tradiscono malesseri che superano l'economia.

In confronto a queste perturbazioni, il supposto evento storico di Singapore si riduce per il momento a una serie di impressioni ed è fra l'altro eccentrico all'Europa e lontanissimo dalle ipoteche storiche degli Stati Uniti ad occidente. .

Non a caso, una che se ne intende e con lo stomaco non fragile, e cioè, l'ex- segretario di Stato Condoleezza Rice – assieme a Colin Powell, tenace sostenitrice della sciagurata invasione dell'Iraq – durante un'intervista ha invitato l'amministrazione alla prudenza, affermando: "Beware, the Coreans!" (Diffidate dei Coreani).

Se il ruolo ambiguo della Cina in tutti questi anni – di fatto, Pechino non ha mosso un dito per impedire il potenziamento atomico della Corea del nord – poteva giustificare le forze americane di stanza nella Corea del sud ma non anche la continuata occupazione del Giappone - gli 80.000 soldati americani di Okinawa – l'annunciata sospensione delle esercitazioni militari e un'eventuale smilitarizzazione americana di tutta l'area sarebbero un regalo alla Cina, che da tempo sta provvedendo ad estendere la sua territorialità marina, creando isole artificiali in tutto il Mare della Cina. Ovviamente, il progetto riguarda il futuro, ma oggi vengono poste le premesse.

In questo scenario per tanti versi incerto e nebuloso, dunque, le volitive dichiarazioni del Presidente circa il futuro sono tutte da verificare e appaiono per il momento come un esercizio pirotecnico da reality show.

Nel frattempo, parallelamente agli entusiasmi estremo-orientali dell'Amministrazione americana, certi antichi equilibri con l'Europa sono sottoposti a pesanti scossoni e a reciproche diffidenze. Forse è un bene. Chissà che anche la divisa e arrancante Europa non ritrovi i suoi condivisi fondamenti e una rinnovata coscienza del proprio ruolo (invasioni afro-islamico-asiatiche permettendo e magari con una più equa redistribuzione dei pesi e misure nel calderone dei molto grandi e dei troppo piccoli).

Antonello Catani, Atene, 19 giugno 2018

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