Sul Maghreb l’ipoteca di Erdogan

La Conferenza di Berlino sulla Libia si apre oggi all'ombra della Turchia di Erdogan. Voluta dalla Germania per tentare di trovare una soluzione internazionale alla guerra civile iniziata nel 2011 e sostenuta dall'Italia con la proposta dei caschi blu europei per garantire cessate il fuoco ed embargo di armi, la Conferenza di Berlino contiene un'importante novità: riunisce per la prima volta intorno al tavolo i duellanti libici - il premier di Tripoli Feyez al Sarraj e il generale di Bengasi Khalifa Haftar - con i Paesi più coinvolti nella crisi ovvero Tunisia, Algeria, Egitto, Emirati, Turchia, Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania, Russia e Stati Uniti. È dunque un possibile punto di inizio per tentare di arrivare ad una formula condivisa fra potenze rivali, in Europa come nel mondo arabo-sunnita, con l'avallo anche di Washington e Mosca.
La piattaforma in sei punti preparata dagli sherpa tedeschi disegna un percorso destinato a continuare a Bruxelles - con la riunione Ue di lunedì - e poi forse New York per una risoluzione Onu capace di formalizzare l'intesa. Ma è un cammino disseminato di ostacoli a causa dello scontro militare Sarraj-Haftar che infuria da dieci mesi fomentato dalle rivalità fra gli opposti alleati, divenute più accese dalla entrata in azione di Recep Tayyip Erdogan.
Il presidente turco non cela cosa ha in mente: rimprovera all'Europa di non voler difendere militarmente al-Sarraj da Haftar, ha iniziato a mandare contingenti di terra a Tripoli e annuncia l'inizio di trivellazioni nella nuova zona energetico-marittima libico-turca per ridefinire la mappa del gas nel Mediterraneo. Come se non bastasse avverte che l'eventuale caduta del suo alleato al-Sarraj porterebbe a consegnare la Tripolitania ai gruppi jihadisti affiliati con Isis e Al Qaeda che minacciano l'Europa. L'intento di Ankara è di sfruttare la protezione di al-Sarraj per tornare ad insediarsi a Tripoli - velayat ottomano fino al 1911 - creando una sorta di protettorato capace di rafforzare la propria proiezione strategica nel Mediterraneo e in Africa, come nelle delicate relazioni con l'Ue.
È uno scenario che complica di molto i lavori di Berlino perché Egitto ed Emirati considerano Erdogan il più pericoloso avversario nell'Islam sunnita - a causa del suo sostegno ai Fratelli musulmani - e sono pronti ad armare Haftar fino ai denti per sbarrargli la strada della Tripolitania. Haftar sente di avere carta bianca da questi Paesi-protettoti contro Erdogan e ciò spiega perché si spinga fino a minacciare il blocco dell'export del petrolio dai porti libici.
Insomma, la Libia si sta trasformando da una feroce faida tribale ad un duello fra Erdogan e i suoi avversari, allontanando ogni possibile compromesso. Da qui l'interrogativo su chi e come può gestire l'escalation turca. E qui le risposte possibili sono tre: può farlo Mosca, da cui Erdogan dipende per le forniture energetiche, puntando ad ottenere una spartizione della Libia; può farlo Roma che, pur indebolita, resta presente e influente in Tripolitania come nessun altro, sfruttando i legami con i leader locali; oppure può farlo Washington decidendo di essere protagonista in Libia per evitare che la minaccia jihadista torni a manifestarsi lungo il confine Sud della Nato. Ecco perché al debutto della Conferenza di Berlino appare già evidente che il nodo da sciogliere in Libia si chiama Erdogan.

Maurizio Molinari – La Stampa - 19 gennaio 2020

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Erdogan minaccia l'intero Occidente

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Trump, via libera ad Erdogan per l'invasione della Siria

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