Ruota a ruota, storie di biciclette

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Da sempre le due ruote, ali di vento e sinonimo di libertà che rimangono nei nostri ricordi per aver accompagnato, a partire dalla tenera età le nostre uscite all’aperto, diventano  il focus della rassegna che si è inaugurata oggi  a Treviso,  dal titolo Ruota a ruota, Storie di biciclette, manifesti e campioni, quasi ad inseguire il Giro d’Italia giunto alla sua diciottesima tappa nella stessa giornata nella città. L’entusiasmo è palese anche dal numero dei personaggi di spicco del mondo dell’imprenditoria, della cultura e della giunta municipale  che sono intervenuti all’incontro. La rassegna che occupa gli spazi dell’ex chiesa di Santa Margherita, diventata dal 2021 Museo Nazionale Collezione Salce, assieme alla sede del Complesso di San Gaetano, pone all’attenzione dei visitatori una parte di quell’immensa raccolta di grafica pubblicitaria, la più grande in Italia, che venne donata nel 1962 dal trevigiano Ferdinando Salce allo Stato italiano. Da  questo immenso patrimonio si è andati ad estrarre un pezzo di storia sociale e culturale che la bicicletta rappresenta ed incarna. Certamente quando poco più di due secoli fa il barone Karl von Drays inventò il primo veicolo a due ruote, chiamato draisina, costruito allora di legno e senza pedali e, tanto meno Leonardo da Vinci che nel 1490 tracciò uno schizzo simile ad una possibile bicicletta, non potevano supporre ed  immaginare che essa sarebbe diventata il più popolare mezzo di trasporto. E sulla sua funzione di collante, di raccoglitore di entusiasmo corale che è stato in grado di unire l’Italia attraverso i valichi, sulla scia dei pedali dei più grandi campioni come Girardengo, Coppi e Bartali, le riviste e i giornali del tempo ne hanno lasciato  un’indimenticabile conferma. Antonella Stelitano, consulente storica e autrice di parte dei testi del catalogo edito da Silvana Editoriale, sottolinea che “la bicicletta fa parte del patrimonio culturale del nostro Paese. Gli italiani imparano la geografia leggendo i nomi dei luoghi attraversati dai ciclisti e nessuno sfugge al fascino di questa manifestazione, nemmeno scrittori come Buzzatti, Gatto, Pratolini, Campanile e Anna Maria Ortese che, al seguito del Giro d’Italia ci regalano un racconto che non è mai solo sportivo, ma di un paese in movimento”. La mostra che, ha la curatela di Elisabetta Pasqualin e nasce da un’idea di Chiara Matteazzi, narra le vicende di questo mezzo di trasporto dagli inizi del Novecento e ne analizza i risvolti economici, l’influenza sul processo di emancipazione della donna, sui viaggi, sul turismo fino  a riuscire, come abbiamo visto, a rafforzare la stessa identità italiana. Sulla “terrazza”  del Museo, al secondo piano, sono esposti i manifesti della collezione Salce del primo cinquantennio del Novecento che fanno rivivere le atmosfere di quel periodo e svelano la nascita delle principali industrie del settore: Cicli Maino con Costante Girardengo, Torpedo con Alfredo Binda  e George Ronsse, Atala con Ganna, Piave, Prinetti, Stucchi, Bianchi, Menon di Roncade e molti altri. In mostra anche alcune bici di casa Pinarello che sono rappresentative di alcuni momenti clou del nostro ciclismo. Un po’ di storia: nel 1951 Giovanni Pinarello, vinse la Maglia Nera del 34^ Giro d’Italia e le centomila lire di compenso le investì in un’azienda di costruzione di biciclette che dieci anni dopo aveva già una sua squadra. Nella rassegna ritroviamo i campioni che sulle “ruote Pinarello” hanno segnato tappe e momenti significativi della storia del ciclismo. “Con questa nuova proposta, il Museo Salce si conferma una fucina di iniziative in cui l’arte, attraverso la comunicazione pubblicitaria, diventa uno specchio delle trasformazioni culturali  e di costume della Società”, ha affermato Daniele Ferrara, Direttore Regionale Musei Veneto. Cambiano i tempi e grazie alla bicicletta, nella nuova versione della safety-bike, con le due ruote uguali, senza ricorrere a cavallo e carrozza o, al treno, con le sue innumerevoli soste per rifornimento di acqua e carbone, le persone a partire dagli Ottanta dell’Ottocento incominciano a muoversi più liberamente e, anche in maniera capillare. Un ampio spazio è dedicato allo sconvolgimento recato nei modelli delle relazioni sociali   dall’uso da parte delle donne della bicicletta. I colorati manifesti e le belle immagini  illustrano una  rivoluzione sociale. Le prime cicliste italiane erano attratte dal nuovo mezzo. Significava fare a meno di un uomo per potersi muovere e saper manovrare un mezzo meccanico, considerato generalmente un’attività virile. A questo si aggiungeva che per correre agevolmente occorrevano i pantaloni. All’inizio quindi fu vista come una minaccia, se erano le donne a farne uso. Si arrivò persino a pensare che essa fosse causa di malattie e  impedisse la maternità. Queste considerazioni   non impedirono ad alcune di loro di entrare nella storia del ciclismo come Alfonsina Strada che nel Giro d’Italia del 1924 arriva dopo 30 corridori, ma ne lascia 60 ritirati dietro di lei.  La mostra ci racconta anche di lei. Saranno le staffette partigiane nella seconda  guerra mondiale e la nuova generazione di lavoratrici del dopoguerra a modificare in maniera definitiva questa concezione antiquata e discriminante. La rassegna sarà visibile fino al 26 ottobre.

Patrizia Lazzarin, 27 maggio 2022

 

 

 

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Duecentomila anni di storia

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Il Paleolitico ruba la scena al cinema. Una frase ad effetto per spiegare come da sempre l’uomo ha avuto la necessità di narrare e  di  rappresentare con immagini la sua vita, anche quella semplice dei gesti quotidiani. Il luogo dove si proiettano queste pitture paleolitiche, immagini o meglio fotogrammi in sequenza di animali in movimento che tramandano le cacce dei nostri antenati, è il  Museo Archeologico Nazionale di Verona, nella nuova sede inaugurata  nel complesso monumentale del carcere asburgico costruito a metà dell’Ottocento. Nei video la ricreazione delle antiche pitture parietali si affida ai mezzi dei primordi del cinema come la Lanterna Magica e Il mondo Nuovo che fanno emergere, alla luce di un fuoco tremolante, linee e colori dentro le grotte del territorio veronese. La struttura museale ospiterà infatti le più antiche testimonianze degli insediamenti umani ritrovati nella provincia scaligera. Il nuovo allestimento, realizzato su progetto scientifico della dottoressa Federica Gonzato, dall’equipe dell’architetto Chiara Matteazzi, riempie le bianche teche sovrastate dalle armoniche capriate lignee dell’ampio sottotetto del grande edificio che si sviluppa su tre piani, affacciandosi sul Lungadige veronese. In questo luogo suggestivo, foriero degli echi di tanti racconti, sono stati collocati i reperti delle sezioni dedicate alla Preistoria e alla Protostoria, ossia un arco di tempo che inizia circa duecentomila anni fa e giunge sino al primo secolo avanti Cristo. Qui, in questo ambiente, simile ad una chiesa romanica per le grandi arcate sostenute dai muri perimetrali delle antiche prigioni, siamo destinati ad incontrare cocci o forse ancora meglio brani di un lontanissimo tempo che da secoli l’essere umano cerca di ricucire per spiegare i tanti modi e i significati della sua esistenza. Le parole del dirigente della Direzione regionale Musei Veneto, dottor Daniele Ferrara forniscono ulteriori spiegazioni intorno al museo che al piano intermedio ospiterà  i reperti dell’età celtica e romana, accanto ad uffici, biblioteca e spazi per incontri, mentre il piano terra sarà riservato ad accogliere testimonianze dell’età altomedievale. “Complessivamente l’investimento supererà i 3 milioni di euro, integralmente finanziati dal Ministero alla Cultura”, afferma il dirigente della Direzione regionale Musei Veneto, dottor Daniele Ferrara. “Aperta al pubblico la sezione riservata alla preistoria e alla protostoria, contiamo di avviare molto presto il cantiere per la sezione romana, mentre con i fondi assegnati tramite il PNNR metteremo a cantiere anche il piano terra per completare quello che si prefigura come uno dei più importanti musei archeologici italiani”. E fra i molti pezzi “forti” del nuovo Museo, la neo direttrice dell’istituzione veronese, Giovanna Falezza, segnala la pietra dipinta nota come “lo Sciamano”. Tra le opere d’arte in ocra rossa rinvenute a Grotta di Fumane e riferibili all’attività artistica dei primi Sapiens (Paleolitico superiore), la più famosa è questa pietra calcarea sulla quale, in ocra rossa, è raffigurato un personaggio che indossa un copricapo. Questa pietra è, ad oggi, una delle più antiche figure teriomorfe, figure di uomo-animale, del pianeta. Tra la grande quantità di esempi di arte mobiliare ed ornamenti si segnala  un  oggetto unico, dell’ultimo Paleolitico: un frammento di lastrina con il posteriore di due erbivori di grande taglia. I tanti manufatti litici  di quel periodo ritrovati sono una prova dell’intensa attività di costruzione di utensili ad uso quotidiano. Con l’economia produttiva del Neolitico appaiono poi piccole statuette in ceramica, soprattutto femminili, di ispirazione egeo balcanica che si spiegano  con le relazioni con questi territori ed anche con l’importanza attribuita alla figura femminile dalle prime comunità agricole, strettamente legate ai cicli stagionali. Le ceramiche scoperte in località di  Lugo di Grezzana hanno permesso grazie alla varietà delle forme e dei disegni di assegnarle a  vari gruppi, che vengono caratterizzandosi culturalmente,  e che scopriamo  già aperti a suggestioni esterne. Esse presentano  decorazioni a note musicali, spighe di grano e con unghiate impresse o sono realizzate con argilla completamente depurata, tipica dell’Italia centro meridionale. I vasi a campana rovesciata, realizzati in un  periodo compreso fra il 2500 e il 2200 a.C., unitamente ad altri oggetti simbolo di prestigio, come i pugnali in metallo e in selce, li ritroviamo anche nel territorio veronese e sono  testimonianza dell’integrazione culturale avvenuta nell’età del Rame in gran parte dell’Europa continentale. Il rinvenimento nella necropoli di Nogarole Rocca di più di 40 sepolture, una delle più grandi di questo ultimo periodo nell’Italia settentrionale, ha arricchito ulteriormente il museo. Affascinante appare la presenza di un pozzo in legno scoperto nel 2004 a Bovolone, da dove i nostri antenati dell’età del Bronzo attingevano l’acqua. La necropoli di Olmo di Nogara ha restituito un corredo di grandi spade con elaborate decorazioni appartenute a defunti di alto rango. Tutte queste necropoli ci hanno consegnato  reperti straordinari, come anche i corredi femminili appartenuti a quella di Scalvinetto, dove compaiono  lunghi spilloni, ferma trecce, collane di perla d’ambra ed ornamenti in conchiglia, ma  al tempo stesso ci hanno fornito molte informazioni sul  modo di vivere di questi uomini e donne e  anche sul  loro pensiero sulla morte. Il Museo  sarà ora  aperto al pubblico nei giorni di venerdì, sabato e domenica dalle ore 10 alle ore 18.

Patrizia Lazzarin, 18 febbraio 2022

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A Treviso il Museo Nazionale Collezione Salce

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Una pagina di storia strappata dalla furia del tempo e degli uomini ritorna a far parte del voluminoso palinsesto di immagini della città di Treviso, che nei suoi palazzi antichi, piazze, vie e canali d’acqua racchiude, come in una teca, la propria bellezza che narra ed intreccia la vita dei suoi abitanti di ieri e di oggi. Si stanno infatti concludendo i lavori di restauro della chiesa di Santa Margherita, affacciata su via Reggimento Italia Libera, a pochi passi dall’ansa del fiume Sile.  Opera attesa già dagli anni Cinquanta del Novecento è un grande edificio  appartenuto all’ordine degli Eremitani, di cui la prima pietra di fondazione risale al Medioevo. Era l’anno 1282 quando il Consiglio dei Trecento che reggeva la città ne autorizzò la costruzione. All’aula grande e semplice, secondo l’abitudine degli Ordini Mendicanti, vennero aggiunte in seguito cappelle, altari e suppellettili. L’interno venne completamente affrescato. Intorno alla metà del Trecento il pittore Tomaso da Modena copri le pareti dell’abside con le Storie di Sant’Orsola, suddividendo la narrazione in riquadri appaiati su tre registri sovrapposti. Il martirio della giovane  Orsola, delle sue undicimila compagne e del Papa nella città di Colonia, per decisione del principe unno che pretendeva di sposarla, era raccontato in uno spazio doppio per dimensioni, nella parte inferiore della parete destra. Il passato è d’obbligo perché  il ciclo di dipinti, salvato per fortuna al degrado della chiesa avvenuto a  seguito soprattutto del decreto napoleonico del 1810 che destinava i beni di monasteri e conventi allo Stato, era stato scoperto nel 1882-83, sotto uno strato d’intonaco dall’abate Luigi Bailo che lo aveva strappato e trasportato su telai lignei. Oggi possiamo vederlo nel Museo di Santa Caterina a Treviso. Non è stato possibile riportare  fisicamente gli affreschi nell’antica chiesa che verrà inaugurata alla fine dei lavori, il 4 dicembre, con la presenza del Ministro dei Beni  e delle Attività Culturali, Dario  Franceschini, ma come ha spiegato l’architetto della Direzione Regionale dei Musei Veneti, Chiara Matteazzi, le pareti, dove un tempo si svolgeva la  narrazione sacra si riempiranno come allora delle storie di Sant’Orsola, grazie ad un sistema di proiezione in 3D. Il desiderio di far rivivere le superfici murarie e di sentirci quindi come quegli spettatori che  quasi settecento anni fa  potevano godere lo spettacolo degli affreschi alimenta il tempo dell’attesa che ci rimane fino a dicembre. L’imponente edificio che è lungo quasi cinquanta metri, se si comprende la zona absidale, ed è largo internamente poco più di quattordici, si avvia a divenire in maniera ufficiale, con l’inaugurazione di fine anno, una delle sedi, forse la più ambita per le sue potenzialità, del Museo Nazionale Collezione Salce di Treviso, che rappresenta la più importante collezione italiana di affiches. I pezzi  in esso conservati sono oggi circa cinquantamila. Fra pochissimo tempo essi troveranno la loro sede nel caveau tecnologico realizzato all’interno della chiesa di Santa Margherita, costruito  con metodi che garantiscono contro l’incendio e i danni derivanti da terremoti. Saranno posizionati in grandi cassettoni e  saranno visibili su richiesta e previo appuntamento. Un codice a barre sui manifesti leggibile da un personal computer, sempre nel caveau, permetterà una facile selezione e la vista dei cartelloni pubblicitari. Nel 2011 il Ministero dei Beni Culturali aveva deciso di far rimanere la collezione Salce a Treviso dove era nata ed aveva destinato due edifici di proprietà demaniale a tale scopo. Il palazzo vicino alla Chiesa di San Gaetano, in via Carlo Alberto, dopo il restauro era stato il primo ad essere aperto nel 2017 ed è stato fino alla prossima inaugurazione nell’ex chiesa di Santa Margherita,  anche la sede espositiva del Museo. I lavori di sistemazione per i due spazi hanno richiesto un impegno complessivo di spesa di 7 milioni di euro finanziati dal Mibact e  da un contributo della Regione del Veneto. Grandi lavori di restauro che hanno interessato in particolare tutta la copertura della Chiesa di Santa Margherita e la costruzione di nuovi spazi sopraelevati adibiti ad esposizione per un totale di superficie ora disponibile  di 800 mq. Essi permetteranno alla città di Treviso di poter disporre di ulteriori luoghi  per mostre, conferenze ed incontri. È un evento quello che si annuncia significativo per la città ma non solo,  e non poteva quindi mancare un’occasione che ne sottolineasse il significato. Sempre ai primi di dicembre viene aperta al pubblico nelle due sedi del Museo Nazionale Collezione  Salce, in via Carlo e in via Reggimento Italia Libera, a cui si aggiunge il  Museo di Santa Caterina, la rassegna dedicata a  Renato Casaro, trevigiano doc come amano definirlo i suoi concittadini, quello che è considerato l’ultimo dei grandi  cartellonisti, cioè uno di quegli artisti che sapevano cogliere l’anima di un film e trasferirla nel disegno che diventava il testimonial dell’opera cinematografica. Egli firmò infatti opere di Sergio Leone, film come Amadeus e l’Ultimo Imperatore, capolavori senza tempo del cinema, da Cinecittà ad Hollywood.

Patrizia Lazzarin, 12 ottobre 2020

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