Ritratto di donna

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Il sogno degli anni Venti, sottotitolo della mostra che trova una scenografica realizzazione nell’antica Basilica Palladiana a Vicenza dipinge con un pennello intriso di colore un’epoca ricca di mistero e di  fascino. Essa rappresenta Il risveglio dopo un lungo sogno ha dichiarato la curatrice dell’esposizione Stefania Portinari, il finale di un lavoro coinvolgente e sinergico. Dal 6 dicembre al 13 aprile 2020 si potranno apprezzare le  tante sfumature di un’immagine di  donna di un nuovo tempo, vista attraverso gli occhi di uno dei più grandi pittori di quella stagione artistica: Ubaldo Oppi e i suoi colleghi che appartengono in buon numero, per tematiche e stile, alle correnti del Realismo magico  e del Novecento. L’esposizione  è promossa dal Comune di Vicenza ed è realizzata dal Palladio Museum e dalla Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza in collaborazione con l’Accademia Olimpica e la Fondazione Giuseppe Roi.  Una  cascata di luci colorate spruzzate con polvere d’oro  ci accoglie nella prima sezione della mostra intitolata: Una primavera nell’arte. Le principesse nel giardino di Vittorio Zecchin ci trasportano su un tappeto persiano  in un mondo fiabesco ed esotico  mentre  la fanciulla nella preghiera di Felice Casorati ci incanta per la  sua concentrazione,  inginocchiata in un prato  coperto di fiori dai mille colori. Nel Notturno di Casorati s’intravvede fra  strisce di luci un corpo femminile che appartiene già ai canoni della modernità. L’effervescenza di quegli anni che contano nel 1910 l’esposizione di Gustav Klimt alla Biennale di Venezia  con ventidue dipinti, fra cui quella Giuditta che possiamo vedere ora in mostra, ha un effetto rivoluzionario in molti artisti, oltre che in Casorati e Zecchin, anche in Arturo Martini, Gino Rossi, Guido Cadorin, Mario Cavaglieri, Guido Balsamo Stella e Teodoro Wolf Ferrari. La stampa dell’epoca fu assai toccata dall’evento siglando quella sezione di Klimt Un giardino del peccato. Ubaldo Oppi era stato a Vienna tra il 1906 e il 1909 e aveva conosciuto il nuovo linguaggio della Secessione. Lì aveva frequentato la Scuola di Nudo. Le mostre che si svolgono in quegli anni a Ca’ Pesaro a Venezia sono anche lo specchio di un nuovo sentire artistico aperto alle influenze e ai confronti con le altre capitali della cultura come Parigi e Vienna. In quella Parigi dove si vede muoversi un genere di donna indipendente che ha cambiato il suo look, i suoi abiti e i tagli di capelli e che chiacchiera amabilmente con le sue amiche nei caffè della capitale. Belle, seducenti come Fernande Olivier la musa di Picasso che vediamo nel ritratto di Kees van Dongen o nella Femmina rossa di Oppi. Quella pienezza di forme e quel  colore rosso simbolo di eros e vitalità che spicca in questo ritratto vengono abbandonati da Oppi negli anni successivi  dopo essere  stato colpito e rapito  dalle incisioni di Picasso, I Saltimbanchi, ed è intenzionato, come scrive a Nino Barbantini, curatore della mostre di Ca’ Pesaro, a ritrarre l’immenso dolore in cui è immersa l’umanità. Compare in questo momento storico che annuncia la prima grande guerra mondiale  anche l’idea del doppio, quelle due figure affiancate, quasi in cerca di un muto e silenzioso sostegno che vediamo nel quadro  Due Donne al caffè del 1913  o nelle  Due sorelle dove le linee si spezzano e i colori diventano scuri o quasi lividi. Stupore riflettono le donne che incontriamo poi, assorte, quasi in posa, con forme nitide e sobrietà di colori, nei quadri dei  pittori di Novecento, movimento che si costituisce ufficialmente nel 1922, ma è già da prima sostenuto da una delle  prime critiche d’arte Margherita Sarfatti. Di  questo gruppo fecero parte Anselmo Bucci , Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Piero Marussig, Mario Sironi e naturalmente Ubaldo Oppi che clamorosamente “ruppe” con il gruppo quando Ugo Ojetti riservo una sala solo per lui alla XIV Biennale a Venezia nel 1924. In quella sala spiccavano quasi cent’anni fa quelle icone del nuovo immaginario come le Amazzoni o le Amiche che ci ammaliano ancora oggi nella sale della Basilica Palladiana. Scrive in quel periodo Ubaldo Oppi: sento il disegno e il colore come non mi è mai avvenuto. Le donne di Sironi, Oppi o di altri come Carlo Sbisà ed Edgardo Sambo Cappelletti pur nella diversità delle interpretazioni hanno un richiamo forte all’antichità nelle statue presenti nel quadro. Quelle sculture sembrano dare un tocco di idealità alla figura umana, staccandola dal contesto reale per condensarla in una forma  eterna. Una donna statuaria, forte come quella che in quegli anni sorvola in solitaria l’oceano, l’americana Amelia Earhart. Donne come la Pastorella o le compagne dei Pescatori di Santo Spirito di Oppi mostrano invece altri mondi dove matura la tragedia del Cieco o si vive di durissimo lavoro come nell’Alzaia di Cagnaccio di San Pietro.Le ultime opere di  Oppi annunciano una nuovo momento storico che mostra i segni dell’inquietudine: Adamo ed Eva dove la figura della nostra progenitrice guarda verso un  mondo lontano e Adriatico, dove  i corpi femminili sembrano nelle loro linee curvarsi in balia  del dondolio incerto delle onde del mare. Gioielli e abiti completano la mostra che come ha spiegato il sindaco Francesco Rucco ha anche l’obiettivo di far riappropriare la città di un monumento che la rappresenta nel mondo grazie al suo architetto Andrea Palladio.

 Patrizia Lazzarin, 7 dicembre 2019

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Incontro e Abbraccio

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Controcorrente per i tempi in cui viviamo, ossia adagio adagio, ci muoviamo  vicino  alle sculture esposte in mostra per intuire  il messaggio, a volte  nascosto, nelle espressioni dei volti,  nelle pieghe degli abiti  o  nelle mani che sembrano muoversi nello spazio per raccontare  il sentimento  e il pensiero di un artista  nel  momento in cui  crea l’opera d’arte. Visitare una rassegna d’arte con unicamente opere di scultura è un’esperienza molto particolare e richiede allo spettatore la disponibilità a lasciarsi  incantare, ad osservare piano   e a diventare partecipe di un discorso  che lo scultore intende rivelargli come se fossero  seduti assieme,  su una panca, durante  una serena chiacchierata o  un’accesa discussione, proiettati in un’altra epoca e luogo. INCONTRO E ABBRACCIO  nella Scultura del Novecento da Rodin a Mitoraj, la mostra che si apre al Palazzo del Monte di Pietà a Padova il 16 novembre ha un approccio tematico articolandosi in sezioni che sono dirette a provocare riflessioni e pensieri nei visitatori della rassegna promossa dalla Fondazione SALUS PUERI crescere la vita e  curata dalla storica dell’arte Maria Beatrice Autizi e da Alfonso Pluchinotta, medico e storico della medicina che ha da sempre presta attenzione al linguaggio del corpo e della mano.  Autizi ha spiegato come nella mostra si sia voluto lasciare spazio alle emozioni, offrendo la possibilità a chi guarda di svelare  e interpretare i significati  delle sculture e  suggerendo solo dei temi come traccia per orientarsi. La bellezza delle opere di tanti autori famosi come Auguste Rodin, Arturo Martini, Vincenzo Gemito, Pietro Canonica, Virgilio Guidi, Marcel Duchamp, Igor Mitoraj, Henry Moore e molti altri scultori del Novecento, diventano  l’occasione per fermarsi a riflettere su determinati argomenti: il cammino della vita, la formazione e l’insegnamento dei valori, l’incontro, la relazione, la lontananza, l’attesa, l’azione e la compassione. L’essere umano  che vorremmo incontrare e che appare in mostra rappresentato nelle sculture non è  uomo indifferente, ma è vivo e palpitante,attento a tanti suoi simili  in attesa di ascolto, di una parola, di un gesto o di uno sguardo. La fragilità umana potrebbe essere uno dei leit motiv dell’esposizione  e   trova un’esemplare espressione nel Bacio dell’Angelo, opera  dell’artista polacco Igor Mitoraj.  L’abbraccio silenzioso di due figure, donna e uomo, entrambe mutile degli arti è ricco di sentimenti venati di malinconia: nei volti una tenerezza  memore di tempi felici. L’ala rimasta sembra alludere al volo dell’anima che  ancorata alla speranza  o al ricordo, rimane in grado di resistere alla vita. Il gruppo scultoreo Il figliol prodigo di Arturo Martini condensa nell’abbraccio delle  due figure di padre e figlio le emozioni non dette e le lunghe attese dello sperato ritorno. Le superfici estremamente lisce e luminose dei corpi aumentano l’efficacia  dello sguardo che si scambiano i due protagonisti e la pesantezza delle pieghe della veste del padre e la leggerezza di quelle del figlio sembrano  per contrasto accentuare la gravità del significato dell’incontro. Padri e figli, Madri e figli: amori immensi  riempiono lo spazio come nella Mère di Auguste Rodin, dove il movimento della mamma che accosta il bimbo al suo corpo sembra dar forma a quel piccolo essere  e con esso, fondendosi insieme, ricostruire  la stessa dimensione dello spazio.  Ci affascina ora la materia bruna e lucida della scultura che  sembra emergere direttamente dalla Terra. Per contrasto, con semplicità, un bacio  schiocca sulle gote della bimba nella scultura Amore materno di Luigi Panzeri e la gioia brilla negli occhi della piccola che abbraccia festosa la mamma: un momento eterno che si rinnova e si ripete  nella felicità  di tante mamme e bimbi di oggi e di un lontano passato che giunge  alla notte dei tempi. Forza e solidità nella terracotta rossa di Isa Pizzoni, dove una figura procede a fatica nello spazio. Allieva di Arturo Martini essa offre in questa scultura la sua interpretazione  del Cubismo. Quasi trascinata dal vento, in fuga nell’ampio movimento del mantello che sollevandosi la nasconde completamente, la figura femminile di Controvento IV di Aurelio Nordera rende  il movimento e la  velocità di un’azione. E poi il mito, questo grande narratore di storie che nelle opere Atalanta di Vincenzo Gemito o in  Sisifo di Ghanu Gantcheff mostra l’ironia  sempre nascosta dietro l’angolo nelle vicende umane: un sorriso che si tinge spesso d’incomprensione o d’amarezza, a volte di stupore. Alfonso Pluchinotta ha sottolineato l’attualità della mitologia che insegna ancora oggi. Pensiamo solo alla fatica di Sisifo che continua a spingere un masso che poi torna indietro e ci riporta con la mente a tante nostre vane fatiche o quelle ali di Icaro che  nella scultura di Edward Bruce Douglas (attr.) non si sciolgono al sole, ma troppo pesanti per reggere il volo, schiantano al suolo lo sfortunato sognatore. Consolation dell’artista Antonio Vancellis Puig, l’Abisso di Pietro Canonica, Abrazo di Marta Leòn, La femme en fuite di Nathaniel Neujean declinano in modi originali, diversi  e profondi il bisogno di superare il senso della solitudine dell’individuo che cerca nel compagno, nella propria donna o nel figlio la forza di cui ha bisogno per poter vivere in questo mondo. Il dolore, la disperazione, la fuga voluta o desiderata sono suggerite  dalle  opere come l’ Eneide di Pericle Fazzini o Vietnam di Claudio Trevi. E poi le mani nelle sculture di Rodin, Luc Albert Moreau e George Segal che parlano, ci allontanano, toccano per conoscere o si fondono per cercare le origini dell’amore in un linguaggio apparentemente muto ma invece ricco di echi interiori. Il cammino dell’uomo sulla terra  in una delle figure dei Borghesi di Calais fa rivivere  un dramma storico e concentra nel gesto efficace delle mani monumentali intorno al capo la  sofferenza che non lascia speranza. La mostra che  è sostenuta dalla Fondazione Cariparo e dall'Università degli Studi di Padova, con il patrocinio della Commissione Europea, della Regione Veneto, della Provincia e del Comune di Padova, prevede l’ingresso gratuito e rimarrà aperta fino al 9 febbraio 2020. 

Patrizia Lazzarin, 15 novembre 2019

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