Bruxelles guarda con attenzione all'Italia

In Europa si stanno preparando riforme che influiranno sulla nostra economia molto più di tutte le leggi che in Parlamento si dibattono in queste settimane, a cominciare dalla prossima Legge di stabilità. Sottovalutarne la portata rischia di condizionare, senza che ci sia stata l’ombra di una discussione, l’attività di qualsiasi governo possa uscire dalle elezioni della primavera prossima. L'editoriale del prof. Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera.

Dall'Europa, piaccia o no, le riforme che riguardano anche noi

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Riforme urgenti, ma sempre mancate, ma oggi Renzi…

Ci riprova. L'articolo che riproponiamo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 21 settembre 1954 a firma dello scrittore fiorentino Giovanni Papini. Ironia del destino, il contenuto concerne la avvertita necessità ed urgenza, in quel momento storico, di provvedere l’Italia di una serie di riforme. Sono trascorsi oltre sessant’anni ed ancora oggi di riparla di riforme istituzionali! Negli ultimi decenni Commissioni Bicamerali (Bozzi, De Mita, D’Alema), oggi il governo Renzi, hanno affrontato i temi più scottanti, che poi sono sempre i medesimi: la Giustizia, la Scuola , la Pubblica Amministrazione da snellire, il Fisco, ecc. C’è da sorridere al solo pensiero che anche questa volta i nostri amati uomini politici non ce la faranno ad approdare ad una vera e profonda riforma del sistema-Stato che continua a dimostrare di non funzionare. Perché? Quel che si evince dalla lettura delle osservazioni papiniane è che … lo scrittore si riferisce (nel 1954) a discorsi su indispensabili riforme istituzionali ed esigenze del nostro Bel Paese presentatesi ben sessant’anni prima! Ossia: fine Ottocento. E oggi siamo al 2016. E non molto è stato fatto. Chissà se il toscanaccio Renzi riescirà a smentire il toscanaccio Papini...

La disgraziata guerra di Abissinia del 1895, che ebbe tante tristi risonanze del nostro Paese, fece nascere in me, ancor giovinetto, la penosa mania di leggere ogni giorno i quotidiani politici. Son dunque sessant’anni che io seguo attraverso quei fogli la storia e la cronaca dell’Italia, e sue fortune e le sue sfortune, le sue vergogne e le sue redenzioni. Dodici lustri non son molti rispetto alle esperienza dei secoli, ma quando penso che il Regno d’Italia è durato soltanto ottantacinque anni, ho il diritto di immaginarmi che, anche se decenni, possono dare qualche idea dei costumi e degli umori di un popolo. Dirò dunque che in questi sessant’anni ho sempre sentito discorrere e discutere di cinque riforme ritenute fondamentali e soprattutto urgenti: la Riforma della Burocrazia, la Riforma della Scuola, la Riforma Tributaria, la Riforma dei Codici, la Riforma Carceraria. Ad ogni mutare di ministeri e di governi, a intervalli che vanno dai tre ai dieci anni, i giornali riproponevano qualcuna di queste riforme, l’opinione pubblica si agitava, la Camera dei Deputati tumultuava, il Senato ponzava, si pubblicavano articoli e libri su questa o quella riforma che tutti ritenevano  indifferibile.

Il più delle volte, dopo un paio di anni d’alluvioni di parole gridate e stampate, di quella riforma appena si pispigliava; certe volte i governi annunziavano che la riforma era già pronta o addirittura compiuta. Ma doveva trattarsi di stolte illusioni, di voluti inganni o di soluzioni sbagliate perché dopo un po’ di tempo si tornava a discettare e a concionare su quelle stesse riforme e così via fino ai presenti giorni. E anche oggi, dopo sessant’anni di alterne vicende, dopo guerre sterne e guerre civili, dopo mutamenti di capi e di regimi, sento parlare via via di Riforma della Burocrazia, di Riforma della Scuola, di Riforma Tributaria, di Riforma dei Codici e di Riforma Carceraria, cioè d tutte quelle riforme che fino agli ultimi anni dell’Ottocento sono state giudicate impellenti e improrogabili.

Non voglio indagare le profonde cause di queste urgenze che durano da sessant’anni ma voglio riserbarmi il diritto di sorridere quando dai nostri giornali vengo a sapere che è stata nominata la Commissione di studio per risolvere una di quelle riforme delle quali sento parlare fin dai tempi di Crispi e di Rudinì, di Luzzati e di Zanardelli.>>

Per concludere, finché dalle parole non si passerà ai fatti, nulla mai cambierà. Giovanni Papini aveva ragione nell’ironizzare sottilmente (da buon toscano) sulla capacità della classe politica tutta di parlar bene e razzolar male. A fine ottocento come negli anni del primo dopoguerra come ai tempi del suo conterraneo Matteo Renzi.

Marco Ilapi, 26 maggio 2016

 

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L’Italia che non cambia. Ci prova, buon ultimo, Renzi

L’Italia non cambia. Sembra il suo funereo destino. Ci sta provando Renzi, il rottamatore fiorentino.  Ci ha provato Silvio Berlusconi nel 2006 con risultati non entusiastici. Con la devolution, la riforma costituzionale proposta dall’allora governo, la maggioranza di centrodestra ha forzato un po’ troppo la mano ed il eonseguente referendum ha decretato il fallimento dell’iniziativa divisiva. Sì, perché leggi così importanti e fondamentali non possono (non debbono) essere approvate con numeri esangui o con voti di fiducia. Per chi se lo fosse dimenticato il ricorso al voto di fiducia su di un provvedimento legislativo è indicatore delle difficoltà dell’esecutivo. Ponendo la questione di fiducia, infatti, vanno a cadere tutti gli emendamenti. Se la legge contiene astrusità (ed è accaduto di sovente), ebbene queste fanno parte del pacchetto ingoiato dai parlamentari chiamati al voto. Questo ha ben poco a che fare con la democrazia. L’iniziativa di Matteo Renzi corre il rischio di fare il medesimo naufragio quando i autunno gli italiani saranno chiamati a confermare la bontà del progetto governativo. In altre circostanze si è suggerita un’altra via da seguire, l’assemblea costituente. Eetto con suffragio universale. Renzi ha voluto fare di testa sua. Non ha ascoltato alcun consiglio e ne pagherà lo scotto. I politici promettono

Marco Ilapi – 18 aprile 2016

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