Post elezioni, la politica del rinvio di Pd e M5S

Ricordate la bubbola «faremo subito una nuova legge elettorale per correggere le distorsioni del Sì»? La ricordate, no? Bene, è confermato: era una bubbola. Una presa in giro. Nicola Zingaretti, Goffredo Bettini, e “giù per li rami”, tutti i fautori del Sì per tutto settembre si erano sbracciati per una inutile approvazione di un testo base almeno alla Camera come fosse una prova d’amore, ecco il nostro correttivo alle distorsioni che verranno prodotte dal taglio dei parlamentari. (...) Siamo entrati cioè in una fase per certo aspetti mai vista nella quale i partiti non sanno chi sono e cosa vogliono fare. L'incertezza sul futuro dei "piccoli" determina a cascata anche un certo brancolamento del Partito democratico, che deve ora rifare i conti a proposito di un alleato tramortito (il Movimento, e lasciamo stare Liberi e uguali che non è mai nato) e avendo di fronte un avversario molto forte ma che potrebbe mutar pelle. Il commento di Mario Lavia su Linkiesta.

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È vero, Zingaretti porta a casa un buon risultato, lo ha riconosciuto anche Matteo Renzi. Anche se adesso giustamente si inizia a fare le pulci ai voti e il successo non è poi così netto. Finita la sbornia post elettorale, il segretario del Pd deve affrontare non pochi nodi, a partire dal fatto – come si evince dai dati dell’Istituto Cattaneo – che metà degli elettori Pd, molto probabilmente il suo zoccolo duro, hanno votato No al referendum. Sono stati loro, quelli che hanno fermato l’avanzata della Lega, che hanno fatto da argine anche all’onda populista dei 5 stelle e che di antipolitica ne hanno le scatole piene. (...) Zingaretti può voltare pagina. E per farlo deve imporre la sua agenda al governo, a partire dai decreti sicurezza e dalla giustizia. Il Pd, che esce più forte dalla tornata elettorale, deve dire basta all’approssimazione e alle proposte folli di un ministro come Alfonso Bonafede. Ha tutte le carte in regola per farlo. Almeno che non sia convinto che la proposta di riforma della giustizia sia condivisibile. Ma non è così. I dem hanno mal digerito le sparate del Guardasigilli e oggi possono chiedere una marcia indietro. Il tema della giustizia, nell’equilibrio del rapporto tra i poteri dello Stato, non può essere lasciato fuori da una rinegoziazione dell’agenda di governo Il commento di Angela Azzaro su il Riformista.

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Il malinteso senso di responsabilità del Pd

Immaginiamo che nelle urne prevalga il “sì”. Il referendum rivitalizzerebbe la leadership pentastellata, testimoniando che la maggioranza degli italiani si riconosce ancora nelle sue parole d’ordine. Che cioè l’antipolitica non è refluita neanche nel colpo di frusta che la pandemia ha sferrato al Paese, ma sopravvive come un’istanza pregiudiziale in grado di tenere la democrazia in ostaggio e, in qualche modo, di precarizzarla. Luigi Di Maio rivendicherebbe il risultato, utilizzandolo per piegare a suo vantaggio gli equilibri di governo. Quanto al Pd, che ha votato tre volte “no” al taglio dei parlamentari e una quarta “sì”, proverebbe vergogna per il prezzo insostenibile pagato all’alleanza con i Cinquestelle. Chi conosce la fisiologia morale e ideologica del partito di Zingaretti sa che questo sentimento, insieme alla probabile sconfitta nelle Regionali, sarebbe funzionale a un ricambio di leadership. (...) Qualunque pregiudiziale posta dal Pd ai Cinquestelle metta a rischio la sorte del governo. Ma è un ragionamento che nasconde una spaventosa subalternità e che difetta di un eccesso di prudenza. Il gabinetto Conte ha tre solidi ancoraggi: l'attaccamento alle poltrone di una rappresentanza parlamentare pentastellata che non avrebbe altra occasione di essere rieletta; l'obiettivo di sbarrare la strada a Salvini, almeno fino all'elezione del nuovo capo dello Stato; Il commento di Alessandro Barbano su Huffington Post.

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