“Mi sono laureato in filosofia con 110, ho fatto ogni tipo di lavoretto ma son costretto a fare il cameriere. È ingiusto che la società non mi offra un lavoro adeguato, vuol dire che l’educazione e lo studio non vengono valutati”. Affermazioni di questo tipo sono il pane quotidiano di talk-show e di ogni dibattito o servizio sullo stato dell’occupazione giovanile. I giovani – una categoria che oramai sembra essersi estesa sino a includere buona parte dei trentenni – e il lavoro vivono da tempo una relazione molto difficile, in Italia. Le ragioni sono molteplici: proviamo a considerare quelle che l’affermazione parafrasata – udita un decennio fa in un talk-show – adombra, rivelando nostre serie insufficienze sia culturali che sistemiche. Il commento di Michele Boldrin sul sito linkiesta.
Il lavoro che non c'è, il ritardo della nostra scuola