Il Belpaese perennemente in campagna elettorale

Alcide De Gasperi nel ’48 non pensava davvero che i comunisti mangiassero i bambini, e nemmeno il più acerrimo dei suoi nemici lo ha mai ipotizzato; ma chi oggi potrebbe dire lo stesso di Luigi Di Maio, quando in un video del luglio scorso definiva il Pd il partito che in Emilia Romagna «toglieva alle famiglie i bambini con l’elettroshock per venderseli»? Chi potrebbe giurare che Matteo Salvini non consideri davvero una grande strategia uscire quatti quatti dalla moneta unica lasciando dietro di sé una lunga scia di minibot con l’effigie di Claudio Borghi? il commento di Francesco Cundari su Linkiesta.

La diffusione del Coronavirus sta creando difficoltà a tutti i sovranisti

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Se Conte si sente assediato

Tiene banco un tema che ne ingloba molti altri: quanto è ancora in grado di sopravvivere il governo Conte? Un tempo qualcuno prevedeva che avrebbe coperto l’intero arco della legislatura, quanto meno sarebbe arrivato alla scadenza del mandato di Mattarella, all’inizio del 2022. Oggi nessuno azzarda un simile vaticinio. Semmai, chi desidera che l’attuale assetto regga si aggrappa a un dato di fatto reale: la difficoltà di immaginare, allo stato delle cose, un’altra maggioranza e un altro premier. Tuttavia l’esperienza insegna che simili calcoli sono quasi sempre astratti.

Nel momento del tracollo sono spesso le circostanze a risolvere le alchimie politiche, individuando le formule e le persone sulle cui gambe far camminare il ricambio. Non siamo arrivati a quel punto, ma quasi.

Sappiamo che il premier si sente assediato e questo lo ha indotto a commettere vari errori, come l’eccesso di esposizione televisiva a scapito del Parlamento. O l’abuso dei decreti della presidenza del Consiglio, stigmatizzato da una figura autorevole come Sabino Cassese. Tutti fattori di debolezza.

È probabile che al vertice europeo di giovedì Conte superi lo scoglio del Mes (il fondo salva-Stati) attraverso qualche gioco di prestigio in grado di far digerire ai Cinque Stelle la scelta pressoché obbligata (così come buona parte dei grillini si sente obbligata a restare attaccata all’esecutivo). Ma dopo il recente caos nell’aula di Bruxelles, quando i vari rappresentanti italiani, di maggioranza e di opposizione, si sono espressi nell’anarchia più totale, è evidente che un po’ tutti gli equilibri stanno saltando. C’è però un nodo di fondo: il sistema industriale italiano ha un disperato bisogno di liquidità e questa la può fornire soprattutto l’Europa.

L’idea di "cavarsela da soli" è suggestiva, ma richiederebbe uno Stato in grado di funzionare con tempestiva efficacia. E non sembra questo il caso.

Ne deriva che Conte può scivolare non tanto sul Mes, bensì sulla "fase 2", quando le risorse soprattutto europee dovranno essere gestite e smistate con equilibrio politico. L’equilibrio che in queste settimane troppo spesso è mancato, come dimostrano le tensioni tra Nord e Sud, o tra certi settori del Nord e Palazzo Chigi. C’è un precedente che fa riflettere: il 2011, quando il governo Berlusconi lasciò il campo sotto la pressione delle circostanze (l’emergenza finanziaria) e fu sostituito da un governo "del presidente" (Napolitano-Monti) fondato su un’ampia maggioranza parlamentare. Oggi il quadro è diverso, ma non del tutto. Le fratture nella maggioranza esistono, ma in parte sono ricomponibili. E nel centrodestra emergono novità. Berlusconi non vede l’ora di sottrarsi all’egemonia salviniana ed è pronto a entrare in una combinazione che superi Conte. Giorgia Meloni ha maturato una sua linea sull’Europa che non coincide con il massimalismo della Lega. Nel Carroccio stesso nulla è statico. Salvini tende per istinto alle scelte più radicali, sulla linea del tandem Bagnai-Borghi. Ma Giorgetti, come ha scritto questo giornale, crede da tempo a un’ipotesi di solidarietà nazionale. E nelle regioni del Nord, il veneto Zaia propone un modello di amministrazione territoriale ben diversa dal nazionalismo quasi ideologico propugnato dal leader. Non è chiaro come tutto questo si trasformerà in ipotesi concrete, ma forse l’immobilismo attuale non durerà a lungo.

Stefano Folli – la Repubblica – 19 aprile 2020

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L’anticorpo dei mercati contro il virus

Matteo Renzi va ringraziato, anzi forse direttamente benedetto, per aver contribuito a tenere lontano dal governo il nazionalismo antieuropeista veicolato da Salvini e mai come in queste ore vengono letteralmente i brividi di fronte al pensiero che oggi – in piena crisi sanitaria, in piena crisi economica e in piena crisi finanziaria, anche se in realtà, finora, il governo Borghi-Toninelli ha spaventato i mercati più del coronavirus – l’Italia avrebbe potuto avere un governo sfascista e antieuropeista, desideroso di buttare nel gabinetto la protezione offerta dall’Europa. Se l’Italia oggi ha un governo europeista, capace di imporre nel giro di pochi giorni grazie alla triangolazione con i suoi uomini forti a Bruxelles e a Francoforte un cambiamento di rotta al nuovo presidente della Bce, lo si deve anche alla mossa del cavallo dello scorso agosto e dunque viva Renzi e viva Zingaretti e viva tutti coloro che ad agosto hanno permesso all’Italia di non arrivare in mutande alla prova più impegnativa della sua storia recente. Eppure, nonostante questo, bisogna dire che, alla luce di quanto è successo nell’ultima settimana, tutti coloro, compreso Renzi, che avevano suggerito di chiudere la Borsa per evitare le speculazione sui mercati non hanno avuto ragione. E non perché non ci sia stato qualcuno che abbia deciso di sfruttare il momento difficile dell’Italia per fare qualche soldino ma perché se non fosse stata data la possibilità agli investitori di esprimere la propria preoccupazione rispetto al futuro del nostro paese nessuno si sarebbe preoccupato di trovare gli anticorpi giusti per rendere la difesa della nostra salute compatibile con la difesa della nostra economia. Senza il panico sui mercati non avremmo mai registrato il salto di qualità dell’Europa, non avremmo mai avuto una così forte integrazione tra gli stati, non avremmo mai avuto l’affermazione degli interessi collettivi rispetto agli egoismi nazionali e non avremmo mai avuto la certezza che per l’Europa le tempeste che colpiscono i singoli stati non sono problemi dei singoli stati ma sono problemi dell’intera Europa. E senza la preoccupazione manifestata in tutto il mondo dagli investitori, Donald Trump, Boris Johnson e persino Emmanuel Macron avrebbero forse atteso ancora più tempo prima di cambiare linea sul coronavirus. In una democrazia liberale, si sa, il flusso di denaro che scorre sui mercati è come il sangue che arriva dal cuore agli organi vitali e chiedere a una democrazia di fermare i mercati è come chiedere a un essere umano di interrompere l’attività del suo organo principale. E ha perfettamente ragione il capo del Nasdaq americano, Adena Friedman, quando, motivando le ragioni per cui la Borsa di Wall Street ha scelto di non chiudere durante lo tsunami coronavirus, ha ricordato che nei paesi liberi l’economia funziona se c’è fiducia e in un paese libero la fiducia si basa sull’accesso aperto ai mercati, sull’accesso aperto al capitale, sulla trasparenza dei prezzi e sulla capacità degli investitori di esprimersi e gestire la propria ricchezza anche nei momenti di difficoltà. Una democrazia che permette agli investitori di esprimere i propri giudizi anche di fronte a situazioni straordinarie è una democrazia che dimostra di saper funzionare anche quando le fasi non sono ordinarie. E se avrete la pazienza di osservare le società che in questi giorni hanno più guadagnato, nelle ore di maggiore panico registrato dalle borse, capirete che i mercati sono parte della soluzione, anche durante le crisi, perché nei momenti di difficoltà allocano le loro risorse laddove le risorse servono. E se un giorno verrà trovato un vaccino, merito sarà non solo degli scienziati ma anche di chi in questi giorni, a mercati aperti, ha permesso agli scienziati di avere soldi per farci sperare.

Claudio Cerasa – Il Foglio – 22 marzo 2020

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