Il nuovo decreto. Ad aprile fino a 50 miliardi tasse rinviate e Cig per 6 mesi

Uno shock. Da provocare prima di Pasqua. Nei primi dieci giorni di aprile. Un pacchetto di misure da varare prima o al massimo in contemporanea al Def (il Documento di Economia e Finanza). E che si avvicini ai 50 miliardi di euro. Tutti finanziati ricorrendo al debito. Dopo l’emergenza sanitaria, che resta ovviamente prioritaria, il governo sta iniziando a fare i conti con quella economica. Perché le previsioni per il 2020, anche di istituti pubblici, sono drammatiche.

Il segno meno è la costante di tutti i dossier. Le banche d’affari addirittura arrivano a pronosticare una frenata del Pil a due cifre. I più ottimisti non scendono sotto il meno 4-5%. Il Covid-19, del resto, ha bloccato da febbraio quasi l’intero sistema. Le ripercussioni non possono che essere pesanti e di lungo periodo.

Ieri si è svolta la prima riunione al Tesoro per mettere a punto le contromisure. Ma già nei giorni scorsi, Palazzo Chigi e Mef hanno cominciato a studiare le varie ipotesi. E alcune linee di indirizzo sono state assunte. La speranza è di arrivare ad un pacchetto da 50 miliardi. «Di certo - dicono alla presidenza del consiglio - sarà superiore a quello già stanziato nel cosiddetto decreto CuraItalia». Il ministero dell’Economia sta elaborando la relazione con cui si chiederà di approvare lo scostamento rispetto al saldo strutturale. Del resto, stavolta tutto viene fatto in deficit (difficilmente il rapporto deficit/ Pil scenderà sotto il 5%). E le Camere devono dare il loro sì con un maggioranza qualificata, quella assoluta. E appunto si approfitterà della sospensione del Patto di Stabilità in Europa. Quasi tutte le disposizioni avranno carattere transitorio, fino al prossimo 31 dicembre. Perché al momento il Patto è stato congelato per il 2020.

Il provvedimento del prossimo mese sarà elaborato secondo due macrodirettrici. La prima riguarda le “garanzie”. Non a caso verrà approvato prima della scadenza fiscale del 16 aprile. Confermando ed estendendo il rinvio del pagamento di tasse e contributi. Poi si amplierà la rete di protezione nei confronti di lavoratori e imprese. La Cig sarà finanziata almeno per altri sei mesi, oltre ai due già stabiliti. Oltre al rafforzamento dell’assegno di disoccupazione per i lavoratori a tempo determinato. Verranno confermate le misure per assicurare liquidità e solvibilità alle imprese. Verrà coinvolta Cassa Depositi e Prestiti, in particolare per le grandi aziende. Secondo gli uomini del governo, la Cassa integrazione è volta ad evitare che la probabile crisi del sistema produttivo abbia un impatto sociale devastante. E la tutela del credito punta a ridurre il rischio di fallimento delle imprese meno pronte ad affrontare la difficoltà. Senza contare che su questo versante sia nell’esecutivo, sia nelle associazioni di categoria corre un brivido si citano gli Npl: i crediti deteriorati. Un loro aumento, causato dai fallimenti aziendali, rischia di assestare un colpo anche al sistema bancario.

Poi c’è la seconda direttrice. Quella che viene definita “sviluppista”. Il tentativo di frenare la decrescita iniettando denaro nel circuito produttivo. La prima misura sarà regolamentare. Riguarda il Codice Appalti. Allo studio è la sua sospensione per 6-12 mesi. Il tentativo è quello di velocizzare l’assegnazione di tutti gli appalti pubblici. Il volano della ripresa in Italia sono stati storicamente i lavori pubblici. L’idea è di provare a velocizzare l’utilizzo degli investimenti di Stato con i fondi già stanziati e con quelli nuovi.

In questo ambito una parte delle risorse sarà destinata a mettere in sicurezza il Paese rispetto ad eventuali crisi dello stesso tipo. Quindi investimenti su Sanità e digitalizzazione. La prospettiva è quella di preparare le infrastrutture nel caso in cui si dovesse rendere necessario affrontare una nuova emergenza sanitaria e il conseguente ricorso ad un diffuso smart working, a cominciare dalla scuola.

Nella stessa ottica è in corso di valutazione la possibilità di estendere il cosiddetto bonus assunzioni anche agli over 35. La speranza governativa è di rendere più agevole la programmazione anche alle aziende che non stanno vivendo un periodo di crisi e quelle che, agli occhi dello Stato, potrebbero cambiare il loro status. Alcuni beni, ad esempio, si sono improvvisamente trasformati in beni pubblici essenziali. A cominciare da chi produce mascherine. Mentre sicuramente verrà ampliata la detassazione per gli investimenti già prevista per le imprese.

In un primo momento era stata ipotizzata l’opportunità di allargare la platea dei percettori dei cosiddetti 80 euro (già diventati 100). Ma al momento è stata bloccata, anche per evitare un ulteriore dislivello sociale tra chi ha il cosiddetto posto fisso e chi il lavoro lo ha perso.

Non sono stati invece presi in considerazione tagli all’Irpef. Secondo, le analisi del Mef non avrebbero in questo momento alcun impatto. Gli effetti si manifesterebbero nel 2021. L’allarme invece è per il 2020. Secondo le proiezioni che circolano nel governo, ma anche secondo quelle dell’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli, il Pil a -5% porterebbe il rapporto debito/Pil al 145%. E se si facesse un investimento di 100 miliardi con la possibilità di ridurre la recessione a -2%, quel rapporto scenderebbe al 141%. In questa situazione insomma le logiche della spesa sembrano in grado di offrire una chance di contenimento del debito stesso e non viceversa.

Su tutte le riflessioni del governo, infine, resta una variabile: cosa farà l’Europa? Soprattutto accetterà l’emissione di eurobond per finanziare la ripresa in tutto il Continente? In caso contrario il Tesoro potrebbe prendere in considerazione nuovi titoli di Stato a lunga scadenza: 50 o 100 anni. Ma questa è una scelta che verrà dopo aver testato la tenuta dell’Ue. E soprattutto dopo aver capito se davvero questa sfida si può affrontare solo in questi termini e con queste misure.

Claudio Tito – la Repubblica – 26 marzo 2020

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Eurobond, l'opzione di Bruxelles. Più deficit per gli Stati e prestiti alle imprese. L'Europa si muove, ma servono gli eurobond

La disastrosa conferenza stampa di Christine Lagarde qualche giorno fa ha distolto l'attenzione da quello che le istituzioni europee stanno effettivamente facendo per sostenere l'economia del nostro continente. Credo sia utile quindi riassumere quello che è stato deciso, quello che probabilmente verrà presto deciso e quello che invece manca.
Le decisioni prese qualche giorno fa dalla Bce, al di là dell'enorme problema di comunicazione insorto durante la conferenza stampa sulla questione degli spread, non sono irrilevanti. Due quelle più importanti. La prima è che le banche potranno prendere a prestito dalla Bce importi illimitati di risorse per prestare a piccole e medie imprese e potranno farlo a tassi di interesse negativi. Non era mai successo. La seconda è che i vincoli che condizionano l'erogazione del credito relativi al capitale proprio delle banche sono stati attenuati. Dato che una banca per prestare ha bisogno di due cose (liquidità e capitale proprio), queste decisioni rendono di fatto molto più facile l'erogazione del credito.
Le decisioni dell'Ue
Sono importanti anche alcune decisioni prese tre giorni fa dall'Eurogruppo, cioè dai ministri delle finanze dei paesi dell'euro. Il relativo comunicato stampa, che ha attirato peraltro poca attenzione, definisce le linee guida che i Paesi dell'area si impegnano a seguire in termini di politica di bilancio. Tutti i Paesi si sono impegnati a lasciar crescere il deficit pubblico per effetto della perdita di entrate e dell'aumento automatico delle spese (per esempio per sussidi di disoccupazione) legato al rallentamento economico, a prendere misure espansive per l'emergenza medica, a sostenere la liquidità delle imprese (per esempio attraverso misure di tassazione e garanzie pubbliche ai prestiti), a trasferire risorse a imprese e famiglie per evitare perdite di occupazione e di reddito. Non si tratta solo di promesse. Il comunicato nota che i Paesi dell'area hanno già deciso l'introduzione di misure espansive quest'anno pari all'1% del Pil (circa 120 miliardi di euro) e di garanzie e altri sostegni alla liquidità delle imprese (come ritardi nei pagamenti delle tasse) pari dieci volte tanto. Il comunicato indica anche la possibilità che questi importi siano aumentati di molto in futuro. E le regole europee sui conti pubblici dove sono finite? Il comunicato ricorda che le regole attuali consentono di aumentare il deficit per misure più direttamente collegate al coronavirus in quanto questo rappresenta un «evento inusuale». Segue poi la frase più importante: «L'Eurogruppo accoglie con favore il fatto che la Commissione sia pronta ad attivare la clausola generale» che consente al deficit pubblico dei paesi membri di sforare il tetto del 3% del Pil, la più "sacra" delle regole europee. Attenzione, la decisione non è stata ancora presa: la Commissione è pronta ad attivare la clausola, ma non lo ha ancora fatto. Forse qualche Paese non è ancora completamente convinto, ma è questione di giorni. Ricordo in proposito che, nel 2009, sotto la spinta della crisi economica globale, il deficit di tutti i Paesi dell'attuale euro area (tranne Estonia, Finlandia e Lussemburgo) crebbe ben al di sopra del 3% (il deficit tedesco salì al 4,4% nel 2010, quello francese al 7%). Insomma, è molto probabile che anche questa clausola "liberi tutti" sia a questo punto attivata. Mi sembra che di fatto i Paesi si stiano comportando come se già lo fosse.
Le incognite dei mercati
Quindi l'Europa si muove. È sufficiente? C'è un aspetto che resta problematico e riguarda la reazione dei mercati finanziari di fronte allo shock economico e all'aumento dei deficit pubblici. Ieri il tasso sui Btp decennali ha continuato a crescere, chiudendo al 2,7%, il livello più alto dal 2014, eccezione fatta per il periodo tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 quando il tasso salì al 3 per cento per effetto delle decisioni prese dal governo gialloverde. Negli ultimi giorni è persino aumentato il tasso di interesse sui bund tedeschi, pur restando negativo. Occorre quindi fare di più per evitare che allo shock economico si aggiunga anche uno shock finanziario. Tre cose possono aiutare. La prima, lo ricordo ancora una volta, sarebbe quella di iniziare a sostenere l'economia europea attraverso deficit finanziati con emissioni di debito comune (gli eurobond). Al momento sembra politicamente difficile, ma durante la crisi del 2011-12 si fecero cose che apparivano inizialmente impossibili. Secondo, sarebbe importante aumentare in modo più significativo gli acquisti di titoli (pubblici e privati) da parte delle Bce (il cosiddetto quantitative easing): l'aumento deciso qualche giorno fa è modesto da 20 a 33 miliardi al mese quando nel periodo d'oro di queste operazioni si arrivò a 80 miliardi. Terzo, e forse questo sarebbe l'elemento decisivo, servirebbe un intervento specifico per calmierare i tassi di interesse italiani. Questo è il punto su cui è scivolata Christine Lagarde, anche se poi è tornata sui suoi passi. E non poteva non farlo visto che l'armamentario a disposizione della Bce include dal 2012 uno strumento (le Outright Monetary Transactions, Omt) che consente proprio acquisti di titoli di stato di paesi sotto pressione, per importi praticamente illimitati, per calmierare i tassi di interesse. Possiamo stare tranquilli allora? Non proprio perché un paese può beneficiare delle Omt solo se riceve un prestito dal fondo salva stati (il celebre Mes). E per ricevere un prestito dal Mes occorre concordare un programma economico. Ragionevolmente, un tale programma, nella situazione attuale, potrebbe (anzi dovrebbe) non comportare misure restrittive fino al ristabilimento di una situazione di crescita, ma è difficile pensare che non comporti impegni che vincolerebbero l'Italia nel medio periodo e che potrebbero essere, anche solo in via di principio, mal digeriti dalla nostra opinione pubblica.

Carlo Cottarelli – La Stampa – 19 marzo 2020

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Le priorità della spesa pubblica

Il governo richiederà al Parlamento di stanziare 25 miliardi per fronteggiare le conseguenze mediche ed economiche del coronavirus. Ha fatto bene. È nei momenti di crisi che occorre aumentare il deficit pubblico. Certo, occorrerebbe ridurlo nei periodi relativamente buoni e non l'abbiamo fatto.
Certo, potremmo affrontare questa crisi più facilmente se avessimo un debito pubblico più basso. Ma inutile ora recriminare. Occorre intervenire comunque di fronte all'emergenza avendo a mente due cose. La prima è di spendere nel modo migliore possibile. La seconda è quella di trovare fonti di finanziamento che minimizzino i rischi di una reazione negativa dei mercati finanziari. In questo articolo parlo soprattutto del primo tema, anche se aggiungerò alla fine qualche considerazione sul secondo.
Allora, come spendere al meglio 25 miliardi? La priorità è ovviamente la spesa sanitaria: servono più medici e infermieri e maggiori stanziamenti per prodotti sanitari. Questi interventi avranno, in parte, una natura strutturale (non è certo possibile assumere temporaneamente nuovi medici). Un aumento strutturale della spesa sanitaria può essere però giustificato perché, negli ultimi anni, la nostra spesa sanitaria, un settore strategico anche per garantire l'uguaglianza di opportunità per i cittadini italiani, è scesa in modo consistente rispetto alla dimensione dell'economia (siamo al 6,5 per cento, tre punti percentuali al di sotto di Germania e Francia).
Al di fuori del settore sanitario occorre invece puntare a interventi di sostegno all'economia che siano di natura temporanea, che servano a superare l'emergenza, ma che non aumentino in modo permanente il nostro deficit pubblico. Se così non fosse il problema di trovare fonti di finanziamento senza rischiare troppo sul lato della sostenibilità del nostro debito pubblico diventerebbe più acuto. Insomma, chi ci finanzia potrebbe accettare un aumento temporaneo del deficit, ma più difficilmente ne accetterebbe un aumento permanente. Ciò non significa che l'intervento debba durare solo pochi mesi. Purtroppo la durata dell'intervento dipenderà da quanto prolungata sarà la crisi. Ma sarebbe sbagliato approfittare di questa crisi per interventi che creano deficit strutturali (per esempio un taglio permanente delle tasse o un abbassamento permanente dell'età di pensionamento).
Quindi la prima caratteristica degli interventi deve essere la flessibilità. In quest'area rientrano senz'altro gli interventi, invocati tra gli altri da Carlo Calenda, per evitare un "attacco cardiaco" alle nostre imprese dovuto a mancanza di liquidità, inclusa una possibile temporanea riduzione (non un semplice posticipo) di versamenti di tasse e contributi dovuti dalle imprese. Al di fuori della finanza pubblica, rientrano in quest'area anche misure che evitino alle imprese di dover rimborsare troppo rapidamente prestiti ricevuti da istituti finanziari. Questo richiederebbe anche l'attenuazione della prociclicità delle norme di regolamentazione bancaria relative, per esempio, ai prestiti in sofferenza.
La seconda fondamentale caratteristica degli interventi deve essere quella di massimizzare l'impatto sulla domanda di beni e servizi. Una crisi partita da uno shock "di offerta" (la catena della produzione spezzata per la chiusura di impianti) causa di solito anche un crollo della domanda, incluso attraverso l'incertezza che essa crea. Servono quindi misure "ad alto moltiplicatore", come diciamo noi economisti. In una situazione di forte incertezza mettere in tasca soldi agli italiani (con un taglio di tasse o un aumento dei trasferimenti) potrebbe non aver un grande effetto sulla domanda perché le maggiori risorse disponibili potrebbero essere risparmiate e non spese. Da questo punto di vista un aumento temporaneo della spesa pubblica per acquisti da parte della pubblica amministrazione avrebbe maggior effetto. Ma quale spesa? Il candidato principale è la spesa per investimenti pubblici, per due motivi. Primo, perché abbiamo carenza di infrastrutture. Secondo, perché le stime disponibili ci dicono che l'impatto della spesa per investimenti sulla domanda è piuttosto forte. C'è un problema, però. L'intervento deve essere rapido e noi non siamo particolarmente famosi per la rapidità nei nostri investimenti pubblici. È quindi fondamentale approfittare di questa occasione per allentare i vincoli burocratici all'investimento pubblico, a partire da quelli che riguardano i cantieri bloccati. Il modello del ponte di Genova è quello giusto anche se è fondamentale assegnare la guida nella gestione delle opere a persone di grande capacità e affidabilità (non possiamo dimenticare che senza una persona valida come il sindaco Bucci, sarebbe stato difficile muoversi speditamente come è stato nel caso del ponte di Genova).
Due parole conclusive sul lato dei finanziamenti. Da chi devono venire i sopracitati 25 miliardi? La cosa migliore sarebbe se provenissero dall'emissione di debito europeo e non di debito italiano, già molto alto. L'intera Europa dovrà fronteggiare l'emergenza medica ed economica del coronavirus. Non sarebbe questo il momento di dar prova della capacità di muoversi insieme con un'emissione di eurobond cioè di titoli emessi da un'istituzione europea? Se un'emissione di eurobond non fosse possibile, sarebbe necessario emettere debito italiano. L'Unione Europea dovrebbe reiterare che, vista la natura straordinaria dell'intervento reso necessario da sviluppi esogeni e in presenza del rischio di una probabile recessione europea, un aumento del deficit, anche oltre il 3 per cento del Pil, sarebbe in linea con le regole europee. Certo, il giudizio finale dipenderebbe dai mercati finanziari. Ma per ora i mercati dei titoli di stato hanno reagito in modo misurato: il tasso di interesse sui Btp decennali, pur in aumento, è ancora basso (1,3 per cento). Un rafforzamento degli acquisti di titoli da parte della Bce potrebbe rassicurare ulteriormente i mercati. Infine, sarebbe utile se, appena stabilizzata la situazione sanitaria, il governo desse prova di saper portare avanti quelle riforme che sono necessarie ad aumentare la capacità di crescita del nostro paese, una condizione essenziale per mantenere la sostenibilità del nostro debito pubblico.

Carlo Cottarelli – La Stampa – 12 marzo 2020

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