Se lo spread risale, note dolenti per il governo giallo-verde

Da qualche settimana, dopo le dichiarazioni di Mario Draghi sulla politica monetaria europea nel prossimo futuro, la designazione di Christine Lagarde alla sua successione, la sventata procedura d’infrazione per debito eccessivo, il mercato dei titoli di stato italiani vive una fase particolarmente positiva, con lo spread Btp-Bund tornato in area 200 punti base. A causa del concomitante abbassamento generalizzato dei tassi, ciò si riflette in una significativa riduzione del costo del finanziamento. Ne è una lampante riprova l’esito della riapertura sindacata del Btp a 50 anni, nella quale il Tesoro, con un tempismo perfetto, ha emesso 3 miliardi a un rendimento del 2,877 per cento, quasi identico al 2,85 per cento conseguito al lancio di questo titolo nei primi giorni di ottobre del 2016, cioè in uno dei momenti di maggiore domanda per i titoli di stato italiani degli ultimi anni. L'interessante commento di Maria Cannata sul sito La Voce di Tito Boeri.

Perché il numerino dello spread è molto importante

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Bruxelles e Roma ai ferri corti, lo spread vola

Secondo gli accordi di Maastricht il tetto massimo di deficit concesso agli stati membri è del 3% – al 2,4% quello proposto dall’Italia è ben al di sotto – e un deficit del 60% per Pil. Il trattato di Maastricht non è stato cambiato, tuttavia dal 2010 la Commissione ha introdotto un nuovo concetto di deficit, il deficit strutturale, che esclude dalla valutazione le tendenze cicliche dell’economia e gli eventi straordinari, come i disastri naturali. Il tetto del deficit strutturale viene suggerito annualmente da Bruxelles a ogni Stato membro secondo alcuni parametri che vedremo qui di seguito. Per l’Italia nel 2019 non deve superare lo 0,6% mentre la proposta del governo lo porterebbe allo 0,8%. La differenza tra questi due valori è il motivo della disputa tra Roma e Bruxelles. Il commento dell'economista Loretta Napoleoni su il Fatto Quotidiano.

La diarchia franco-tedesca vuole il default dell'Italia

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Lo spread vola, è un ritorno al 2011?

Molti lo temono. Certo è che la manovra che sta predisponendo l’esecutivo gallo-verde sta incontrando critiche a non finire. Su più fronti, sia interno (la variegata opposizione rappresentata dal partito democratico guidato pro tempore da Maurizio Martina, da Forza Italia, da Liberi e Uguali e da Fratelli d’Italia), sia esterno, con quasi tutti i commissari europei, dal presidente Juncker al responsabile dell’economia Moscovici. Ognuno dice la sua. Certo è che i partiti al governo hanno alzato l’asticella del deficit non concordando preventivamente la manovra con Bruxelles, anzi, andando oltre quanto era stato generosamente concesso a Palazzo Chigi. L’obiettivo che il nostro Paese avrebbe dovuto perseguire è il pareggio di bilancio. Così non è  stato. In effetti Di Maio e Salvini si sono pervicacemente  intestarditi a cercare di dare ragione al proprio elettorato, proponendo misure che assai difficilmente l’esecutivo sarà in grado di garantire. O, per dirla tutta, sicuramente il Parlamento licenzierà la manovra così come proposta da M5S e Lega. Questo entro il 31 dicembre. Purtroppo i due capi popolo, entrambi vice presidenti del Consiglio, hanno fatto i conti senza l’oste. E quest’oste  è il mercato. Il detestato, disprezzato mercato. Già grandi banche d’affari hanno avvertito che qualora lo spread dovesse sfondare quota 400 si entrerebbe in una fase di grandissima fibrillazione. Con grande rischio di rivedere scene da panico modello Lehman Brothers o Grecia, con risparmiatori nel panico.

Sul quotidiano la Repubblica  Andrea Greco scrive che la riapertura dei mercati sta  avvenendo all’insegna del nervosismo, per i segnali che vengono dalla politica italiana e per le evidenze tecniche osservabili sul mercato secondario, dove gli investitori si scambiano titoli governativi. Il fine settimana è stato contrassegnato da una serie di segnali di fermezza da parte del governo, che non appare intenzionato – come ribadito dal leader dei Cinquestelle Luigi Di Maio – a mettere in discussione il livello di deficit, stimato al 2,4% del Pil l’anno prossimo, in violazione delle regole dell’Unione europea. E’ in atto uno scontro tra il governo Conte e l’Unione europea, che ha avviato l’iter verso la procedura di infrazione all’Italia, è benzina per le speculazioni del mercato: dove le vendite allo scoperto sul Btp, specie la scadenza più corta a 2 anni, stanno tornando ai livelli di metà maggio, quando la pubblicazione del Contratto di governo tra Lega e M5s portò il rischio Italia a quasi raddoppiare in poche settimane. Venerdì il differenziale tra Btp e Bund decennali tedeschi ha chiuso in lieve rialzo a 286 punti base, per un rendimento del titoli italiani pari al 3,435%. Nonostante siamo su livelli di spread non visti dal 2014, continua ad affollarsi la platea di operatori finanziari che prendono a prestito i titoli del Tesoro, tramite operazioni di rifinanziamento (nel gergo dette “repo”) e li vendono a scadenza: salvo riacquistarli sotto data a prezzo ribassato e lucrare sulla differenza. Una strategia finanziaria che crea turbolenza e nuoce al paese, anche perché chi la attua può usare una leva finanziaria tra le più alte: i fondi più piccoli 20-30 volte il capitale investito, i pesci grossi fino a 50 volte. Era tutto previsto e fa strano che un uomo avvertito come il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti e, soprattutto, il ministro dell’Economia Giovanni Tria e Paolo Savona non abbiano messo sull’avviso Di Maio e Salvini che non si può lottare contro i mulini al vento, non avendo armi in grado di contrastare quel che Bruxelles ci impone di fare. Per essere più esaustivi, sarebbe stato probabilmente più tollerabile lo sforamento del tetto al deficit consentito (l’1,6% sul Pil) se anziché sfidare la Ue con la proposta di dare a milioni di persone, anche sicuramente bisognose e meritevoli, una decina di miliardi (che, poi, alla fine, si tratterà dell’ennesima mancia elettorale alla Matteo Renzi, giusto per ingraziarsi il proprio elettorato, quello del Sud, in particolare), la stessa somma fosse destinata, che so, ad avviare cantieri per mettere in sicurezza migliaia di edifici scolastici e, nel contempo, proporre una severa spending review, per recuperare le necessarie risorse per far fronte ai tanti problemi della nostra fragile Italia. Si pensi agli smottamenti di vaste aree nel Nord, al Centro e al Sud. Alle frequenti alluvioni. Ai ponti ed ai cavalcavia da controllare e mettere in sicurezza. Ai problemi di Genova, della Calabria, della Sicilia, dei territori colpiti dal terremoto. I due al governo (di Conte nessuno parla perché è come se fosse una figurina da esibire nei consessi internazionali, ma in realtà non conta nulla), parliamo di Di Maio e Salvini, stanno giocando d’azzardo. Così come d’azzardo stavano giocando nel funesto 2011 Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. Con il risultato sotto gli occhi di tutti. L’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano chiamò al Quirinale il prof. Mario Monti, incaricandolo di prepararsi a prendere il posto di Berlusconi a Palazzo Chigi. Sotto la tempesta di uno spread volato a quote stellari (574 punti il 9 novembre sui bund tedeschi) il Cavaliere si arrese a consegnò lo scettro a Monti. Speriamo, e tocchiamo ferro, che non si arrivi più a quei livelli. C’è però da mandare un avviso ai naviganti: non si può combattere contro i mercati finanziari. Questi hanno nella loro mission anche la speculazione. Dicevano gli antichi romani che pecunia non olet. Cosa significa? Che se chi ha tanti soldi da investire può condizionare la vita di un Paese come l’Italia. Potrebbe, addirittura, causare problemi anche a governi come quello americano. Figuriamoci a quello nostrano. Salvini e Di Maio dovrebbero essere più responsabili e non fare battute che sanno di una vera e propria sfida.

Marco Ilapi, 17 ottobre 2018

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