Finita l’emergenza cambi strutturali

Affrontata in maniera incisiva l’emergenza sanitaria, la priorità numero due è salvaguardare l’economia italiana evitando perdite di capacità produttiva e di occupazione che avrebbero effetti pesantissimi oggi e comprometterebbero domani la ripresa post-coronavirus. La crisi indotta dal Covid-19 vede all’opera l’interazione reciproca di riduzioni di offerta e riduzioni di domanda: dalla prima fermata produttiva in Cina, con il venir meno di forniture essenziali per molte nostre imprese, alla caduta della domanda di beni e servizi proveniente dal Paese asiatico; dalla contrazione produttiva di una delle aree chiave dell’economia europea, ossia l’Italia settentrionale, alla riduzione della domanda in tutto il nostro Paese legata alla inevitabile fermata di una parte delle attività economiche.

In questa situazione, è necessario operare sui due lati del mercato: contenere la caduta di domanda, sostenendo il reddito delle famiglie; evitare il collasso del tessuto produttivo, assicurando alle imprese la liquidità necessaria a fronteggiare i pagamenti, prima di tutto per il personale, pur in presenza di una pesante caduta di ricavi. Su ambedue i fronti agisce il decreto legge varato dal governo lunedì.

Sul primo fronte, di particolare rilievo l’estensione per i lavoratori dipendenti della copertura fornita dagli ammortizzatori sociali e l’indennità introdotta per gli autonomi. Sul secondo, quello della liquidità per le imprese, sono stati rinviati gli adempimenti fiscali e contributivi in scadenza e potenziate notevolmente le garanzie pubbliche sui crediti a breve termine necessari a sostenere la gestione di cassa attraverso l’intervento del Fondo centrale di garanzia e della Cdp. L’insieme di queste norme, che impegna circa 3,7 miliardi sul bilancio pubblico, crea un backstop a sostegno dell’economia reale. I provvedimenti del governo vanno nella direzione giusta. Con alcune avvertenze però. Riguardo a quelli in favore delle famiglie, è essenziale che i tempi di attuazione siano accelerati al massimo. Per quelli sul credito a breve termine, oltre alla questione dei tempi, è importante sia facilitato l’accesso al Fondo centrale di garanzia anche per le piccolissime imprese, per quelle individuali e per le attività di lavoro autonomo e professionali, che rischiano di essere falcidiate molto presto dalla carenza di liquidità.

Infine, bisogna essere consapevoli che è probabile che la quantità di risorse messa in campo debba essere potenziata. Sarebbe opportuno allora che il governo segnali da subito la disponibilità a sostenere comunque il sistema economico per tutta la fase dell’emergenza, prevedendo ad esempio la possibilità di stanziamenti addizionali da attivare con procedure semplificate. Ribadendo al tempo stesso l’impegno, una volta usciti dall’emergenza, a un percorso stabile di rientro del debito nel quadro della politica europea.

Allungando lo sguardo, per il dopo coronavirus avremo bisogno di una politica economica che non torni al business as usual. Prima di tutto perché la rottura che l’epidemia sta determinando nei rapporti di fornitura tra le imprese richiederà una ricostruzione delle filiere produttive e commerciali all’interno e all’estero che non sarà né breve né scontata.

In secondo luogo perché, come notava Gianni Toniolo su queste stesse colonne, andranno finalmente affrontati i problemi strutturali dell’economia italiana. In particolare, la carenza di investimenti. Finita l’emergenza bisognerà finalmente gettare le fondamenta per un ciclo di investimenti privati e pubblici sostenuto e stabile nel tempo. Non basteranno per questo meccanismi di garanzia al credito e misure come quelle di industria 4.0 e del credito d’imposta Sud. Serviranno soprattutto segnali chiari di stabilità normativa e finanziaria e di sblocco di nuove direttrici di sviluppo. Una politica di bilancio basata su un orizzonte almeno triennale, superando definitivamente la pratica delle clausole di salvaguardia che la schiacciano sulla dimensione annuale. Chiarezza e stabilità delle regole del gioco: sfoltimento delle procedure autorizzatorie e degli adempimenti, superamento del gold plating, riduzione drastica delle possibilità di contenzioso, rapidità della giustizia civile. Priorità in bilancio a investimenti pubblici e sostegno di quelli privati orientati a promuovere innovazione e crescita centrate su ambiente, infrastrutture, cultura e salute. Cdp. L’insieme di queste norme, che impegna circa 3,7 miliardi sul bilancio pubblico, crea un backstop a sostegno dell’economia reale.

I provvedimenti del governo vanno nella direzione giusta. Con alcune avvertenze però. Riguardo a quelli in favore delle famiglie, è essenziale che i tempi di attuazione siano accelerati al massimo. Per quelli sul credito a breve termine, oltre alla questione dei tempi, è importante sia facilitato l’accesso al Fondo centrale di garanzia anche per le piccolissime imprese, per quelle individuali e per le attività di lavoro autonomo e professionali, che rischiano di essere falcidiate molto presto dalla carenza di liquidità.

Infine, bisogna essere consapevoli che è probabile che la quantità di risorse messa in campo debba essere potenziata. Sarebbe opportuno allora che il governo segnali da subito la disponibilità a sostenere comunque il sistema economico per tutta la fase dell’emergenza, prevedendo ad esempio la possibilità di stanziamenti addizionali da attivare con procedure semplificate. Ribadendo al tempo stesso l’impegno, una volta usciti dall’emergenza, a un percorso stabile di rientro del debito nel quadro della politica europea.

Allungando lo sguardo, per il dopo coronavirus avremo bisogno di una politica economica che non torni al business as usual. Prima di tutto perché la rottura che l’epidemia sta determinando nei rapporti di fornitura tra le imprese richiederà una ricostruzione delle filiere produttive e commerciali all’interno e all’estero che non sarà né breve né scontata.

In secondo luogo perché, come notava Gianni Toniolo su queste stesse colonne, andranno finalmente affrontati i problemi strutturali dell’economia italiana. In particolare, la carenza di investimenti. Finita l’emergenza bisognerà finalmente gettare le fondamenta per un ciclo di investimenti privati e pubblici sostenuto e stabile nel tempo. Non basteranno per questo meccanismi di garanzia al credito e misure come quelle di industria 4.0 e del credito d’imposta Sud. Serviranno soprattutto segnali chiari di stabilità normativa e finanziaria e di sblocco di nuove direttrici di sviluppo. Una politica di bilancio basata su un orizzonte almeno triennale, superando definitivamente la pratica delle clausole di salvaguardia che la schiacciano sulla dimensione annuale. Chiarezza e stabilità delle regole del gioco: sfoltimento delle procedure autorizzatorie e degli adempimenti, superamento del gold plating, riduzione drastica delle possibilità di contenzioso, rapidità della giustizia civile. Priorità in bilancio a investimenti pubblici e sostegno di quelli privati orientati a promuovere innovazione e crescita centrate su ambiente, infrastrutture, cultura e salute.

Giuseppe Coco e Claudio De Vicenti – Il Sole 24 Ore – 26 marzo 2020

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Nei 158 anni dall’unità, l’Italia ha avuto per 127 anni un debito pubblico più alto della media degli altri Paesi che oggi formano il G7. Pur essendo quindi storicamente un Paese ad alto debito, l’Italia ha avuto solo due casi minori di default, peraltro insieme a importanti Paesi europei. Fa parte della cultura e del carattere nazionale la convinzione un po’ compiaciuta di essere un Paese indebitato, ma stabile. Bisogna invece chiedersi se negli ultimi anni sia cambiato qualcosa e se la nostra auto-indulgenza sia diventata una pericolosa illusione. Il commento di Carlo Bastasin e Gianni Toniolo su Il Sole 24 Ore.

Il problema n. 1 dell'Italia, il debito sovrano

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