La cementificazione dell'Acropoli

 Recentemente, il Ministero della cultura greco ha deciso di stendere o ripristinare un manto di cemento su gran parte dei percorsi che circondano il Partenone. La decisione la dice lunga sull’andare dei tempi. Un confronto preliminare può essere istruttivo.

       Come noto, a suo tempo i Talebani fecero saltare con la dinamite le venerabili statue del Budda a Bamiyan in Afghanistan, gesto che confermava la fisiologica barbarie di costoro. Mille anni prima, un altro afghano e anche lui musulmano, Mahmud di Ghazna, aveva anche lui devastato un’infinità di templi buddisti in India.

       Ora, la cementificazione dei percorsi attorno al Partenone non equivale a una distruzione fisica come quelle perseguite dal sopra menzionato Mahmud di Ghazna, ma dal punto di vista estetico e simbolico l’obbrobrio è analogo. La cervellotica e ipocrita giustificazione da parte del Ministero greco della cultura è stata che in tal modo vengono agevolati i disabili e che comunque già da vari decenni i relativi percorsi erano di cemento, col tempo fratturatosi e quindi necessitoso di nuovi manti.

       E’ molto probabile che Fidia (il progettatore del tempio) e i suoi collaboratori non avrebbero condiviso le suddette giustificazioni. Del resto, visti i sontuosi templi dell’Acropoli, è mai possibile che anche la sua superficie non fosse costituita da lastre di materiali nobili come il calcare e il marmo?

       Insomma, anche senza invocare il fantasma di Fidia, il normale buon senso e un minimo di gusto estetico rendono l’associazione di marmo e cemento una cacofonia estetica. Si sa che templi e statue, erano all’origine policromi. Come dunque solo immaginare la presenza del cemento in tale nobile e variopinto scenario? Nemmeno le menti più contorte e perverse avrebbero potuto adottare la povertà e sciatteria di un materiale di questo tipo attorno a delle costruzioni di marmo e luminoso calcare. Eppure i Greci moderni non solo lo hanno immaginato, ma lo hanno anche messo in opera col complice assenso del Governo e senza che nessuno sia stato minimamente redarguito o cacciato dal suo posto.     

       Tenendo conto della petulante (e infondata) retorica  dei Greci moderni riguardo al loro millantato essere gli eredi dei Greci antichi, il misfatto è ancora più clamoroso e spudorato, soprattutto se si pensa che da sempre essi rivendicano i fregi del Partenone, attualmente ospiti del British Museum. Che infatti  un Paese con inesauribili riserve di calcare e di marmo di tutti i tipi e di tutti i colori non abbia utilizzati già da decenni tali materiali per la ripavimentazione dell’Acropoli rimane un fatto incredibile e un mistero. Vi sono buone ragioni per supporre che, dopo il nuoo manto di cemento sull’Acropoli, le probabilità che i fregi del Partenone siano rispediti in Grecia sono ancora  (e giustamente) più scarse.

        Nonostante la sua indecenza estetica, il fatto finisce tuttavia per non sorprendere più di tanto. La cementificazione selvaggia aveva già infierito in tutta la Grecia da 70 anni, e cioè dalla fine della seconda guerra mondiale. Quella che ancora fino al 1930-40 era ancora una piacevole città ricca di armoniche e civettuole case neoclassiche si è poi progressivamente trasformata in una delle più brutte e anonime città del Mediterraneo. I Greci continuano a vantarsi e a vendere al turista le bellezze (scomparse o da loro deturpate)  della Grecia classica, ma ciò che rimane sono degli informi casermoni e una moltitudine di strade strette con marciapiedi lillipuziani. Il DNA del cemento era insomma già tristemente operante.

       Se la la Grecia moderna, come altre nazioni dal passato ricco di storia, vive di allori del passato, essi sono in buona parte stravolti e immancabilmente trasformati in ossessivi richiami turistici  per compensare un’economia gracile e priva di strutture produttive. L’Egitto è a questo riguardo un altro esempio. Lo si vede e legge ad ogni piè sospinto, specialmente in un periodo come questo dove il Covid ha reso difficile e frenato il movimento di persone.

       Per quanto riguarda la Grecia, le isole in particolare, ma non solo, vivono in realtà di turismo, senza il quale i loro abitanti sarebbero costretti a ritornare all’agricoltura, se però si ricordassero di come farla funzionare. Tanto è vero che cibi e vettovaglie provengono in gran parte da altre regioni della Grecia o addirittura dall’estero, ma non sono prodotti nelle isole. Inevitabile corollario di tutto ciò è la progressiva scomparsa e distruzione proprio di quegli elementi architettonico-paesaggistici osannati dalla retorica ufficiale.

        La dilagante sciatteria estetica, lo sfruttamento dei monumenti a fini commerciali e la sfrenata tendenza alla mercificazione di qualsiasi cosa non sono ovviamente una caratteristica  puramente greca. Il fenomeno è planetario. Esso comunque colpisce di più e appare ancor più significativo, se avviene in un luogo considerato una  delle culle della civiltà.

         La follia cementifera dell’Acropoli e la perdita del più elementare senso estetico non sono del resto un fatto isolato. Esse si inseriscono a loro volta in un più ampio scenario locale di degrado culturale, di mercantilismo di bassa lega e di fatali miopie economiche. Attività produttive come quella del cemento o altre analoghe sono state cedute a stranieri. L’unica attività produttiva locale che rimane è quella dei latticini, fra l’altro di notevole livello qualitativo. Il nuovo aeroporto di Atene è stato costruito da un consorzio straniero (che tuttora lo gestisce) a patto che fosse però messo in disuso quello vecchio. In tal modo, Atene è forse l’unica grande capitale al mondo con un solo aeroporto. Ridottasi ad un solo aeroporto, ora essa ha perso anche il suo porto, il Pireo, venduto a un gruppo statale cinese (Cosco). Anche qui, la Grecia non è un’eccezione, visto che lo stesso gruppo ha fatto analoghi acquisti in molte nazioni europee, Italia inclusa, ma anche in Pakistan e anche in Sri Lanka. Tutti i suddetti acquisti cinesi fanno parte di un più ampio progetto di espansione commerciale verso l’Europa, e verso l’Africa orientale, il cosiddetto One Belt One Road, una replica al contrario dell’antica “Via della seta”.

         Ma abbandoniamo la Cina e ritorniamo al cemento dell’Acropoli.   

         Esso costituisce il sintomo e un esempio della sopraffazione della Storia e dell’abbruttimento della società da parte degli imbecilli di turno, spesso togati e pieni di sussiego. Il loro ruolo distruttivo potrebbe ricevere il Guinness dei primati, se non fosse che l’apatia e la sonnolenta indifferenza della massa, giornalmente alimentata da rumori vari (spacciati per musica), da giocattolini elettronici o da pollai come Facebook sono ancora più pericolose. Senza tale apatia e indifferenza, imbecilli e ribaldi di turno perderebbero il posto.

Antonello Catani, Atene, 10 settembre 2021

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