Beni culturali, costo o risorsa?

I Beni culturali in Italia sono un costo o una risorsa economica? Oltre al senso spirituale e culturale del nostro Patrimonio artistico/archeologico/paesaggistico, ve ne è anche uno materiale? Queste credo siano alcune delle domande che i cittadini italiani si pongono nei confronti del nostro patrimonio culturale. Le risposte a queste domande necessitano però, di alcune riflessioni e considerazioni. La notizia, ormai di qualche settimana fa, dell'iniziativa messa in atto da alcuni negozianti del Mercato di Testaccio (a Roma), che hanno chiesto ed ottenuto di collaborare con le istituzioni, per dare un contributo alla valorizzazione e manutenzione degli Horrea (magazzini commerciali di età imperiale rinvenuti al di sotto del Mercato attuale) attraverso una raccolta fondi per mezzo di una autotassazione, è emblematica. Lo è di una opinione e considerazione del Bene culturale che sta cambiando, evolvendo in una nuova e più consona direzione. I commercianti di Testaccio hanno di fatto dimostrato con questa iniziativa, di aver compreso non solo il valore storico di questa area – in quanto adiacente al Porto Fluviale da secoli cuore commerciale e logistico della città antica di Roma – ma anche quello di identità culturale del quartiere, dove il commercio è da sempre l’anima di questo settore cittadino. E soprattutto hanno dimostrato di averne compreso il valore di risorsa economica. Questa iniziativa bene interpreta e si ricollega con quanto sancito dalla Convenzione quadro sul valore dell'eredità culturale per la società (STCE n. 199, 2005) che si è aperta a Faro - città del Portogallo -  alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa e all’adesione dell'Unione europea e degli Stati non membri, ed è entrata in vigore il 1 Giugno 2011. In Italia la Convenzione è stata firmata nel febbraio del 2013 ma il documento deve ancora essere ratificato dal Parlamento. Questa nel suo preambolo considera uno degli obiettivi quello della cooperazione degli Stati membri del Consiglio Europeo " … allo scopo di salvaguardare e promuovere quegli ideali e principi, fondati sul rispetto dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello stato di diritto, che costituiscono la loro eredità comune; Rimarcando il valore ed il potenziale di un’eredità culturale usata saggiamente come risorsa per lo sviluppo sostenibile e per la qualità della vita.... Riconoscendo che ogni persona ha il diritto ad interessarsi all’eredità culturale, in quanto parte del diritto a partecipare liberamente alla vita culturale", dirittosancito da altri strumenti internazionali esistenti, in particolare dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Parigi 1948) e garantito dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Parigi 1966). Ecco quindi che viene sottolineata la connotazione di Risorsa per il Bene culturale e quindi di tutti i beni archeologici, monumentali, artistici e paesaggistici. Ciò su cui invece si deve ancora lavorare molto è la modalità di azione con la quale raggiungere tale obiettivo, che passa per una conoscenza dettagliata e capillare dei Beni culturali del Paese -fattore fondamentale per la tutela alla valorizzazione e fruizione di essi. A tal proposito nel 2012 si è tenuto un convegno intitolato"I Beni che perdiamo", organizzato dal Laboratorio Sistemi Informativi Territoriali (SIT) per i Beni Culturali del CNR-IBAM di Roma (oggi operativo nell’Istituto IASI), sviluppato in collaborazione con l'Università del Salento e che opera e viene implementato in sinergia con analoghi sistemi informativi di altre Università italiane che lavorano sulle stesse tematiche ed con Strutture Centrali e periferiche del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Un confronto tra varie istituzioni sul rischio e sull'azione di salvaguardia di monumenti, centri storici, paesaggi e siti voluto e pensato anche alla luce degli eventi sismici verificatisi all'Aquila nel 2009, oggi temi, purtroppo, quanto mai attuali. Quattro anni fa il quadro emerso dal convegno riguardo la conoscenza del nostro Patrimonio era a dir poco allarmante. Infatti i dati presentati mettevano in luce che I beni archeologici presenti sul nostro territorio mediamente erano conosciuti solo per il 10% e che anche per questo motivo molti di essi rischiavano una sistematica distruzione a causa di lavori agricoli, di urbanizzazione, scavi clandestini e fenomeni naturali. Venne anche asserito che la perdita del patrimonio culturale ci costa circa un punto percentuale del PiL, ribadendo che se il Patrimonio culturale fosse adeguatamente conosciuto, conservato e tutelato, sarebbe una fonte inesauribile di reddito. La conoscenza del nostro Patrimonio è quindi condizione fondamentale per uno sfruttamento adeguato del potenziale economico. Si deve iniziare a pensare al Nostro Patrimonio come ad una impresa i cui capi sono i cittadini italiani e i manager sono i funzionari pubblici, le Istituzioni preposte che devono agire con strategie di innovazione e di marketing. I Beni culturali hanno tutte le potenzialità per autofinanziarsi, creare fatturato, posti di lavoro.

In realtà alcuni aspetti succitati già sono in atto ma non vengono percepiti come tali. I Beni culturali, ad esempio, possono essere considerati legittimamente i Partner di alcuni esercizi commerciali a Roma che, come per quelli di Testaccio, contribuiscono al loro fatturato per il solo fatto di esserci, di creare interesse culturale; viene da sé che l'iniziativa, sicuramente lodevole dell'autotassazione, in realtà altro non dovrebbe essere che la quota percentuale istituzionalizzata del fatturato della "società" tacitamente istituita tra commerciante e bene culturale. Altro aspetto da considerare e rivedere è la gestione di tali Beni. Anche in questo settore l'obiettivo dovrebbe essere sempre quello del fatturato e dell'autofinanziamento, rigettando casi di gestione come quella del foro Romano, dell'Arco di Costantino e di molti altri che sono gratuiti oppure quella dei Fori imperiali chiusi o aperti solo in alcune occasioni. Una gestione migliore e più congrua di questa risorsa potrebbe tradursi nella creazione di aree/zone archeologiche a costi contenuti e che non lascino fuori monumenti importanti.

Un ultimo aspetto da considerare è quello che si è verificato per il Colosseo ed il finanziamento del suo restauro da parte di Diego Della Valle. Anche questo potrebbe essere un altro canale di guadagno della Impresa Bene Culturale. Vendere la propria immagine ovviamente nel rispetto della dignità del Bene e quando ciò non arrechi danno, può, anzi deve essere considerata tra le capacità che hanno i beni culturali di essere risorsa per il nostro Paese.

Quindi alla domanda iniziale “I beni culturali sono una risorsa o una spesa?” credo si possa rispondere propendendo per una visione del bene come Risorsa, a patto che la mentalità nostra e delle nostre Istituzioni siano in grado di evolversi e di acquisire le necessarie competenze per svilupparne le potenzialità economiche.

Marzia Codella, 23 novembre 2016

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Le organizzazioni sindacali hanno tante, innumerevoli, colpe. Detto questo, un Paese che a parole batte e ribatte sulla cultura e la ricchezza dei beni archeologici, dei musei, delle chiese, delle contrade di stupefacente bellezza, deve anche essere coerente. E investire sul serio, su queste cose. Invece siamo sempre inchiodati lì, a un investimento dello 0,19% del Pil: meno di un quarto di quanto spendeva l’Italia nel 1955, mentre stava ancora scrollandosi di dosso le macerie della guerra. L'editoriale di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera.

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