La vita dopo il futuro è un puzzle che va costruito insieme

Invochiamo gli esperti. Ma sarebbe il momento di accettare, per quanto ci spaventi, che non esistono veri esperti di questa crisi. Esperto è colui che ha fatto esperienza e nessuno ne ha mai fatta una simile, non su questa scala, non con questa gravità.

Nessuno, poi, è competente nella totalità dei campi che sarà necessario gestire e armonizzare da qui in avanti. Abbiamo virologi eccellenti, immunologi, analisti di dati, informatici, economisti e psicologi; se capiamo quali domande rivolgere, avremo indietro delle risposte sensate. Da ognuno un pezzetto del nostro futuro. Ormai sono parecchi, sparpagliati sul tavolo: pezzi di virologia e immunologia ed epidemiologia e macro e microeconomia, pezzi inquietanti di sociologia e di psicologia. Ricomporli è il compito arduo della politica. Ma per completare un puzzle siamo abituati a guardare la figura sulla scatola, e stavolta la figura non c’è. Va inventata. Noi che scriviamo, esperti di nulla, ci limitiamo a contare i pezzi e magari a suddividerli in base al colore, come ci veniva raccomandato da bambini prima d’iniziare l’assemblaggio. Primo pezzo. È passato un mese dall’inizio del lockdown. Ci sono cresciuti i capelli, siamo notevolmente più trasandati e cominciamo a chiederci se sapremo ancora indossare un paio di pantaloni normali al posto della tuta. La primavera, intanto, preme contro i vetri di casa, le giornate si allungano e ogni mattina è un po’ più calda e seduttiva della precedente. L’infilata di feste comandate si estende davanti a noi con un’inedita aria minacciosa. Sarà un’impressione personale, ma mi sembra che in molti inizino a vacillare. Che ci sia più movimento nelle strade. O forse sono io a cedere. Ma non è ancora il tempo: mollare adesso vorrebbe dire precipitare in un istante al punto di partenza. I nuovi infetti, plausibilmente, sono molti di più di quelli che ascoltiamo nel bollettino delle 18. L’epidemia continua nelle strutture ancora aperte, nelle interazioni residue, nei cortili delle case e dentro le case stesse. Abbiamo bisogno subito, però, di una narrazione nuova che ci motivi a resistere. L’affollamento degli ospedali e il bisogno di supportare medici e infermieri ci hanno incoraggiato a lungo, gli appelli delle star hanno aiutato, le minacce d’inasprire le sanzioni molto meno; la retorica delle pubblicità sulla meraviglia di restare a casa è diventata stucchevole e rischia di ottenere l’effetto opposto. Senza una narrazione nuova, senza una descrizione anche vaga di come si presenterà il coronapuzzle una volta completato, la gente smetterà di sacrificarsi. Ricominceremo a uscire più del dovuto e ci troveremo daccapo.

Gli alieni siamo noi L’anno che verrà sarà alieno. E alla fine assomiglieremo un po’ a degli alieni anche noi, con guanti e mascherine e distanze di sicurezza. Il paesaggio sarà qualcosa che non abbiamo mai visto e, per una volta, abbiamo l’occasione di disegnarlo più simile a come lo vogliamo Secondo pezzo. La fine ultima del contagio può arrivare in quattro modi: con un vaccino, con l’immunità di gregge, con una cura efficace, con un miracolo. Contare sul miracolo è parecchio rischioso, della cura efficace non sappiamo molto e la strada verso l’immunità di gregge è incerta e forse pavimentata di troppe vittime (sebbene potremmo trovarci a percorrerla senza nemmeno rendercene conto). Pertanto dobbiamo assumere come «fine di tutto questo» il momento in cui una parte cospicua della popolazione sarà vaccinata. In uno scenario ottimistico, ovvero assumendo che il vaccino esista già fra i tanti allo studio e che sia sperimentato e prodotto in tempi record, significa non prima di un anno. Un anno: ecco la cornice del nostro puzzle impossibile. Terzo pezzo. Sarà un anno diverso da tutti quelli che abbiamo vissuto, ma non sarà fatto da dodici mesi orribili come l’ultimo marzo. Tutto dipende, ancora una volta, dalle curve. Dobbiamo solo stare attenti a guardare quelle giuste. Ci ostiniamo a considerare i nuovi contagi, quando sono ormai così lontani dalla realtà da aver perso quasi tutto il senso. Se ieri eravamo a più di 130 mila casi ufficiali, le stime ci dicono che parliamo almeno di dieci volte tanto (secondo l’imperial College, di cinquanta volte tanto). Potremmo farci guidare, in alternativa, dal trend dei decessi, ma anche quelli sono sottostimati e non sappiamo di quanto. Inoltre, le morti hanno un ritardo sul contagio di almeno un paio di settimane, che rischia di ritardare anche noi. Procediamo alla cieca quindi? No. Esiste un dato più rilevante, quello dei ricoveri e delle dimissioni dalle terapie intensive degli ospedali. Un dato che diventerà ancora più affidabile con la decongestione progressiva dei reparti del Nord. Ciò che vogliamo assicurarci per poter «convivere con il virus» nell’anno che verrà è che tutte le persone bisognose di cure possano riceverle. Il virus continuerà a farci ammalare, anche gravemente, ma noi saremo tutti trattati al meglio delle possibilità mediche. Quel tasso di letalità apparente che finora in Italia ci ha sconvolti si attesterà sul valore intrinseco della malattia. E noi andremo avanti. Ecco il nuovo equilibrio sostenibile a cui dobbiamo puntare, sebbene appaia, a descriverlo, un po’ triste. Quarto pezzo. Il contagio non ha colpito il nostro Paese in maniera omogenea, lo sappiamo. Ma la tendenza all’uniformità, al contagiarci tutti, è purtroppo un’altra caratteristica intrinseca di questa come di ogni epidemia. Ciò significa che le regioni finora «risparmiate» sono proprio quelle a cui prestare maggiore attenzione. I motivi sono svariati. Innanzitutto la percentuale di suscettibili al Centrosud potrebbe essere significativamente maggiore rispetto a certe aree del Nord dove un principio d’immunità gruppale si sta forse formando (ma lo sapremo solo quando avremo a disposizione i test adeguati). L’estate, se verrà data la possibilità, attrarrà flussi massicci verso zone dove la capacità dei serbatoi ospedalieri è inferiore e non è stata rafforzata durante l’emergenza. L’equilibrio fra nuovi ricoveri e posti liberi in terapia intensiva potrebbe quindi essere diverso, anche di molto, da una regione all’altra, perfino da una provincia all’altra, e in alcune aree richiedere un rodaggio più lungo. Quinto pezzo: minimizzare la sofferenza. Dove «minimizzare», ovviamente, non sta per «sminuire», ma è da intendersi nel senso matematico di «rendere minimo». In analisi è prassi comune cercare i massimi e i minimi di una funzione per poterla disegnare. La funzione che dobbiamo analizzare è decisamente complicata. Con il passare delle settimane ci siamo accorti che accanto alla curva epidemica ne esistono infatti delle altre: la curva delle vittime dovute ai danni economici, quella delle vittime dovute ai danni psicologici. Sono entrambe all’inizio della loro impennata, ma cresceranno, e c’è da scommettere che il loro andamento non sarà troppo diverso da quello esponenziale dei contagi. Dobbiamo immaginare, allora, di metterle insieme per creare un’unica curva (per amor di precisione, matematicamente sarebbe una superficie). Di questa «curva della sofferenza» dobbiamo poi trovare il minimo, il punto in cui sostare per avere il numero più basso di vittime dirette e indirette. Non esistono esperti per questo, se non gli esperti del buon governo. Sesto pezzo. Sarà quindi un gioco di destrezza. Un po’ come gestire molti rubinetti contemporaneamente. Ora sono tutti chiusi: la produzione industriale, le piccole attività, la scuola, i bar e i ristoranti, le seconde case, i cinema e i teatri, le spiagge e le librerie, noi. La pressione nei tubi aumenta sempre di più e prima o poi bisognerà allentare qualche manopola: i commerci prima che vengano strozzati, la nostra clausura prima che usciamo di testa. Ma i serbatoi (i reparti di terapia intensiva degli ospedali) inizieranno subito a riempirsi, e se non siamo accorti a traboccare. Le strategie possibili sono diverse: lasciare tutti i rubinetti al minimo gocciolamento, aprirne solo alcuni, oppure aprirli tutti e poi richiuderli a intermittenza. Ogni strategia è un anno diverso che ci aspetta. Una figura diversa del puzzle. Non pretendiamo che la strategia venga scelta adesso, sarà un processo euristico, di tentativi, errori e correzioni, ma si potrebbe già discutere sui pregi e i difetti di ognuna. E se non sarebbe conveniente, per esempio, azzardarsi ad aprire qualche rubinetto in più durante l’estate per guadagnare un po’ di fiato e immunità per l’autunno. La gestione idraulica che attende il governo non è invidiabile, soprattutto in mezzo alla ruggine e ai cigolii della nostra burocrazia. Da parte nostra, è bene che mettiamo in conto una buona dose di scontento e ci prepariamo a una routine davvero nuova, più nuova ancora di quella che stiamo vivendo.

L’anno che verrà sarà alieno. E assomiglieremo un po’ a degli alieni anche noi, con guanti e mascherine e distanze di sicurezza. Non è detto che tutti i pezzi del puzzle combaceranno bene, alcuni andranno attaccati a forza e resterà di certo qualche buco. Ma il paesaggio sarà qualcosa che non abbiamo mai visto e, per una volta, abbiamo l’occasione di disegnarlo più simile a come lo vogliamo.

 Paolo Giordano – Corriere della Sera – 8 aprile 2020

L’altro bollettino

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