Angeli caduti … angeli ribelli … Anselm Kiefer

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Una mente immaginifica, “muovendosi” nell’Arte produce visioni, annuncia cataclismi e racconta  i grandi avvenimenti della Storia, restituendo allo spettatore la sensazione di poter far parte di quei luoghi. A volte si sviluppa grazie ad un patrimonio comune, a cui sentiamo di appartenere, o ha l’aspetto della più ricca  biblioteca del mondo antico ricomparsa fra noi, dove fra quei libri sono disegnati centinaia di  segni grafici che vanno interpretati per poter rispondere all’enigma della Sfinge e, aver così salva la vita. Le opere dell’artista Anselm Kiefer che potremmo conoscere ed approfondire nell’esposizione che si è inaugurata a marzo, a Palazzo Strozzi, nella città  di  Firenze, possiedono l’energia  e la bellezza che regalano  il gusto della  scoperta e della conoscenza.

Nell’artista tedesco l’invenzione ricca di significati letterari e umani ci consegna forti emozioni che lasciano spazio all’immaginazione e alla riflessione. La creazione assume a volte l’aspetto  monumentale di una lastra di pietra che porta inciso sul suo dorsale narrazioni che si tramutano,  quasi per effetto di  un’operazione alchemica, in pensiero filosofico  che studia l’essere umano e la Natura. Diventa condanna del Male che sconvolge il Mondo  e che gli uomini provocano  spesso, senza un’accettabile ragione, come mostrano le guerre che insanguinano e hanno martoriato il nostro pianeta.

Un Male che emerge dal suo contrasto, come il Buio dalla Luce, ma i cui contorni sfumano e si rende a volte scarsamente identificabile. I fondi dorati che vediamo ricoprire le tele dell’artista come la voce di una sirena ci spingono ad andare verso di loro. Dentro ci sono storie costruite con una materia che appare attraversata da un continuo divenire. Una sostanza magmatica e al tempo stesso fragile con cui  possiamo quasi  identificarci e che suggerisce pensieri sul valore dell’uomo, sulla sua ricerca di Infinito e di un legame che unisca Cielo e Terra.

Le  opere di Kiefer indagano il rapporto tra  Giustizia Divina e la presenza del Male nel mondo. Angeli Caduti è il titolo della grande mostra sull’artista tedesco  che è stata da poco inaugurata e che rimarrà visibile fino al 21 luglio.

Essa si snoda fra lavori vecchi e nuove produzioni. Fra quest’ultime troviamo l’opera realizzata appositamente  per il cortile di Palazzo Strozzi: La Caduta dell’Angelo, la cui estensione, in altezza, supera i sette metri. Il tema del dipinto ha per soggetto l’Apocalisse e descrive il combattimento fra l’Arcangelo Gabriele e gli angeli ribelli.  Una metafora  della lotta fra il Bene e il Male che appare subito  davanti ai nostri occhi, quando entriamo per visitare la mostra. Nella contrapposizione tra spirito e materia,  l’artista fa proprio in questo modo, il bisogno di ricerca di nuovi significati alla nostra esistenza.

Nel primo dipinto che incontriamo poi nel piano nobile del Palazzo, il protagonista è ora Lucifero mentre precipita nell’abisso. Dall’opera sporge un’ala di un aereo da combattimento che sovrasta una materia informe. Sembrano macerie causate dalle  guerre … Quell’ala sembra sfondare con la sua forza le nostre pupille e  mostrare  fisicamente la  cecità dell’essere umano impegnato  a distruggere. 

Nelle sue affascinanti creazioni l’artista tedesco si avvale  di differenti materiali per esprimere il suo messaggio: una pratica variegata che abbraccia pittura, scultura, installazione e fotografia.

La mostra ha la curatela di Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione di Palazzo Strozzi che in un’interessante intervista nel catalogo della rassegna, pubblicato da Marsilio Arte, ci introduce ai temi della profonda e stratificata ricerca di Kiefer in diversi campi dello scibile. Si susseguono infatti nella sua opera  ricca di rimandi, temi che attingono  sia al ricordo e al mito, sia  alla filosofia, alla letteratura, alla storia e alla religione. Sono venticinque grandi opere che  interrogano … ci fanno pensare.

La xilografia Sol Invictus, ad esempio, si lega alla concezione ciclica del tempo e della vita. Semi di girasole cadono sulla figura dell’artista disteso. Una polvere solare sembra spazzare lo spazio dove il girasole, fiore anche amato da Van Gogh, come dal nostro, sparge i suoi semi,  se stesso, quasi annullandosi.

L’installazione che ci avvolge quando entriamo nel salone, dei Dipinti irradiati, scarificati e scoloriti dalle radiazioni, che in numero di sessanta coprono completamente le pareti, il pavimento e il soffitto di una delle sale più grandi di Palazzo Strozzi, evocano il sentimento della malinconia della vita che nasce dall’osservazione della sua rapida trasformazione.

L’artista esplora  i temi della distruzione e del decadimento, insiti nella stessa condizione umana. Secondo l’artista “la distruzione è un mezzo per fare arte. Io metto i miei dipinti all’aperto, li metto in una vasca di elettrolisi. La scorsa settimana ho esposto una serie di dipinti che per anni sono stati esposti ad una radiazione nucleare all’interno di container. Ora soffrono di malattie da radiazione e sono diventati temporaneamente meravigliosi.

Critico colto, anche del suo procedere artistico, Kiefer cerca più occasioni per introdurre la figura dell’artista nella sua opera, come quando la dedica “al pittore ignoto” in memoria di quelli che hanno sofferto la  repressione, sono stati censurati o dimenticati.  In Simboli eroici sfida provocatoriamente l’identità e la cultura propria e dell’intero popolo tedesco.

La rassegnasi chiude alludendo alla transitorietà del tempo con i versi del poeta Salvatore Quasimodo tracciati dallo stesso artista sulla parete: Ed è subito sera. Essi parlano della fugacità del tempo e  della brevità della felicità e insieme raccontano della solitudine dell’uomo.

Il legame di Kiefer con la scrittura, la parola e la poesia si conferma da sempre un fil rouge che la sostanzia.

Patrizia Lazzarin, 27 marzo 2024

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Colori e forme in dialogo, nell’incantevole Venezia

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“Affinità elettive”: la duplice rassegna apertasi in questo fine settimana alla Casa dei Tre Oci, nell’isola della Giudecca e alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, richiama nel titolo  il romanzo di Johann Wolfgang Goethe, poeta, saggista e filosofo tedesco che aveva trascorso alcuni mesi a Venezia, durante il suo “gran tour”  in Italia.  Nel nome si  lega  anche all’aspirazione  della stessa  mostra che rende nuovamente fruibile, dopo il restauro, la casa dei Tre Oci, il gioiello neogotico progettato e costruito nel 1913, come casa e studio privato, dall’artista Mario De Maria e, diventato ora la  nuova sede del Berggruen Institute Europe.

L’esposizione ha la curatela di Giulio Manieri Elia e di Michele Tavola, direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia e di Gabriel Montua e Veronika Rudorfer, direttore e curatrice del Museum Berggruen di Berlino. Quest’ultimo è uno dei più importanti istituti statali europei di arte moderna che prende il nome dal collezionista tedesco Heinz Berggruen (1914-2007).

Nel 2000, la Stiftung Preussischer Kulturbesitz (Prussian Cultural Heritage) è riuscita ad acquistare la collezione di Heinz Berggruen, per la Nationalgalerie, con il finanziamento del governo tedesco e dello stato di Berlino. L'edificio dove si trova il museo è attualmente in restauro e riaprirà nel 2026.

Dal 24 marzo al  23 giugno 2024  per la prima volta in Italia, saranno messi a confronto  quadri e disegni del Museo Berggruen di Berlino con i capolavori delle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Un dialogo alla ricerca di nuovi significati e legami nel mondo dell’arte, fra le 40 straordinarie opere di Picasso, Matisse, Klee, Giacometti e Cézanne, provenienti dal museo tedesco, e  le creazioni di Giorgione, Sebastiano Ricci, Pietro Longhi, Giambattista Tiepolo e Canova del museo veneziano.

Alle Gallerie dell’Accademia 17 opere provenienti dal museo berlinese verranno a  far parte del percorso del museo, coinvolgendo i visitatori in un gioco paragonabile ad una caccia al tesoro. Tra gli accostamenti più suggestivi e curiosi per le riflessioni che ne potrebbero scaturire vale la pena di segnalare due capolavori assoluti: il ritratto di Dora Maar realizzato da Picasso posizionato accanto alla Vecchia di Giorgione. Opere molto diverse ma entrambe riguardanti una relazione intima con il ritrattista. Due studi di Picasso per Les Demoiselles d’Avignones sono posti poi accanto ad una serie di bozzetti di Tiepolo come anche  i due grandi scultori Giacometti e Canova stimoleranno nuovi pensieri e invenzioni.

Alla Casa dei Tre Oci il percorso espositivo prosegue nella nuova sede del Berggruen Institute Europe. Finalmente dopo mesi di chiusura il Palazzo sarà visitabile. Esso diventerà un luogo di studio e di confronto internazionale ospitando mostre, workshop e simposi. Qui si potranno ammirare 40 opere su carta della collezione grafica delle Gallerie dell’Accademia e 26 provenienti dal Museum Berggruen: acquerelli e opere su carta di Klee, Picasso, Cézanne e Matisse. Il confronto tra le creazioni delle due collezioni è il file rouge dell’esposizione e consentirà ad ogni visitatore di scoprire  le affinità che le legano a partire  dall’analisi delle loro forme e colori.

Patrizia Lazzarin, 24 marzo 2024

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Il pittore delle lune

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Il pittore delle Lune, lo definì simbolicamente Gabriele D’Annunzio, amico dell’artista, riferendosi a Mario De Maria di cui si è inaugurata ieri  la rassegna al Museo Ottocento Bologna, nella città delle Due Torri. Elena di Raddo, una delle curatrici dei testi del catalogo lo “racconta”, cogliendo uno dei temi centrali della pittura di questo artista, di cui lo stesso titolo dell’esposizione, Mario De Maria, “Marius Pictor” (1852-1924). Ombra cara, contiene l’ispirazione.

 Osservando l’intero corpus della sua pittura, Mario de Maria, … “il pittore delle lune”, potrebbe anche essere chiamato “pittore delle ombre”. L’ombra è un aspetto ricorrente nei suoi dipinti, sia nelle opere narrative, sia in quelle paesaggistiche che descrivono i dintorni di Bologna e la campagna romana, i paesaggi tedeschi della brughiera di Brema e gli scorci di Venezia.

 È nell’ombra che la pittura si anima, è qui che prende forma il significato nascosto dei suoi paesaggi. Nell’oscurità proiettata dalle fronde degli alberi, dai tavoli di un’osteria o dai muri spessi di antichi edifici si intravvedono personaggi, animali o oggetti inanimati, affiorano pennellate che danno corpo al pensiero dell’artista di fronte alla natura. L’ombra è nella pittura di De Maria la metafora del pensiero, dell’Idea, che sottende tutta la sua ricerca, in particolare quella più matura.

Il  ruolo di De Maria nel mondo dell’arte si definisce, in particolare, per essere stato uno degli istitutori della Biennale di Venezia che venne decisa dall’amministrazione comunale il 19 aprile 1893. Nel consiglio comunale del 30 marzo 1894 vennero assunte le prime decisioni tra cui riservare una sezione dell’Esposizione anche agli artisti stranieri (su suggerimento del nostro). L’artista fece parte della Sottocommissione artistica della istituenda Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, fu poi il creatore del primo Padiglione dei Giardini e vi  espose, ogni anno, fino alla morte.

La rassegna mette insieme per la prima volta un nucleo consistente di opere del pittore e architetto, circa 70, tra capolavori, inediti e opere ritrovate e appositamente restaurate dal Museo Ottocento Bologna. Esse provengono da prestigiose istituzioni museali italiane (Gallerie degli Uffizi di Firenze, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, Galleria d’Arte Moderna di Milano) e da collezioni private nazionali e internazionali.

È una mostra antologica  che osserva   la produzione di De Maria per  approfondire il singolare percorso dell’artista, uomo complesso e tormentato, sodale di Gabriele D’Annunzio e  padre del “Simbolismo italiano”.

Il percorso dell’esposizione si articola in sette sezioni che ripercorrono la sua vicenda artistica e biografica. Il pensiero dell’artista si ricava dalle sue lettere manoscritte inviate all’amico Vittore Grubicy de Dragon e oggi conservate presso l’archivio Grubicy del Mart di Rovereto e  nell’archivio De Maria presso la Biblioteca del Museo Correr di Venezia.

Attraverso esse, il visitatore potrà farsi un’idea della personalità dell’artista, sempre in conflitto con se stesso e con gli altri, ma al tempo stesso “raffinato e onesto critico della sua opera”,  scrive la studiosa e curatrice Francesca Sinigaglia nel catalogo. Il critico d’arte e artista Vittore Grubicy de Dragon nel 1909 dirà di lui:«Gli artisti “a lui solo dedicati”, anche con lustro di illustrazioni, si contano a decine con un accordo non solito nel nostro paese. Ne risulta in sostanza che al momento attuale dell’Arte Italiana non v’è nessun altro pittore che possa venir anteposto a Lui»

Sono trascorsi cent’anni dalla morte del pittore avvenuta nel 1924. Egli era nato nel 1852 a Bologna e qui frequentò l’Accademia di Belle Arti per poi trasferirsi a Roma, dove aprì uno studio in via Margutta, nel palazzo Dovizielli,  dove c’erano  gli studi di Nino Costa  e Vincenzo Cabianca. Fu tra gli animatori del gruppo In Arte Libertas, che aveva tra i suoi membri, gli artisti più conosciuti in ambito internazionale di quel periodo: Giulio Aristide Sartorio, Dante Gabriel Rossetti e Arnold Böcklin. All’esperienza romana  si lega la commissione dell’illustrazione dell’Isaotta Guttadauro di Gabriele D’Annunzio.

Nel 1891 si trasferì a Venezia assieme a l’élite culturale italiana del circolo dannunziano con cui maturò l’idea della Mostra Internazionale d’Arte di Venezia. Nella città lagunare ebbe la possibilità di portare avanti le sue ricerche pittoriche legate al Simbolismo. De Maria si spostava spesso da Venezia a Brema, in Germania  poiché la moglie Emilia Voigt era tedesca ed ebbe così  l’occasione di approfondire la conoscenza dell’opera di Rembrandt da cui trasse suggestioni. In questo periodo si colloca inoltre la triste vicenda familiare della morte della figlia Silvia, di soli sei anni. De Maria non si riprenderà mai completamente dal lutto, arrivando a sperimentare, nelle sue opere un Simbolismo dai risvolti sempre più macabri e drammatici.

La declinazione di tale movimento artistico di Mario De Maria va comunque compresa  tenendo conto dell’ambiente culturale italiano proprio del periodo che va dagli ultimi due decenni dell’Ottocento agli anni Venti del Novecento, che  stabiliva connessioni tra  le rievocazioni storiche e mitologiche e il divino.  Ricordiamo De Maria poi per la costruzione  della casa dei Tre Oci alla Giudecca,  dove si era  ispirato per il nome, al numero  dei suoi tre figli.

La mostra che sarà aperta al pubblico fino al 30 giugno,   è compresa  all’interno del progetto espositivo: La pittura a Bologna nel lungo Ottocento | 1796-1915, promossa da Settore Musei Civici Bologna |Museo civico del Risorgimento e a cura di Roberto Martorelli e Isabella Stancari, che coinvolge quattordici sedi oltre a quella del Museo Ottocento Bologna.

Patrizia Lazzarin, 23 mazo 2024

          

 

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