Ricominciamo da De Mauro

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Tullio De Mauro: una  guida per il futuro della scuola. Questo in estrema sintesi il messaggio finale scaturito dal seminario tenutosi recentemente a Roma in ricordo di Tullio De Mauro, ad opera del Giscel (Gruppo di Intervento e Studio nel campo dell’Educazione Linguistica), associazione da lui fondata nel 1973.

“Come continuare con Tullio e per Tullio De Mauro?” si sono chiesti i partecipanti, soprattutto dopo gli attacchi vergognosi della “Lettera dei ‘600” e le considerazioni “sconsiderate” sui problemi linguistici della scuola in generale di altri “pubblicisti”. Chi oggi lancia segnali di allarme sulla competenza linguistica dei giovani sa di che parla? Sembra proprio di no. Innanzitutto, perché  fra i firmatari del documento in questione, la quota dei linguisti è davvero irrilevante; e poi perché la denuncia non si fonda su dati (quindi falsificabili), ma su impressioni soggettive, fornendo così una fotografia confusa e quindi diagnosi imprecise. Proprio per questo a Bologna (come ha riferito Nicola Grandi) è stato effettuato un questionario con studenti dei corsi triennali, da cui si evince che manca loro la capacità di riconoscere le varietà di registro (comprese quelle più formali, poco riconosciute)  e di non distinguere tra gli usi più o meno popolari (substandard) e quelli standard accettati dalla norma. Ciò anche per effetto dei nuovi tipi di comunicazione: messaggistica, social, whatsapp, ecc.) che hanno creato una nuova varietà di scritto, con i caratteri del discorso colloquiale tra amici (xke, nn. utilizzati negli sms ma anche in situazioni formali).

Non dimentichiamo ciò che affermava De Mauro:“Il dominio della propria lingua è un presupposto indispensabile per lo sviluppo culturale ed economico dell’individuo e della collettività”. Si deve avere la consapevolezza che la questione della lingua è sempre politica: i conservatori  vogliono una scuola che salvi la lingua “alta”; i progressisti vogliono sì salvaguardare la lingua, ma accettando che la parlino tutti, senza per questo viverla al ribasso. Non a caso, due assilli  perseguitano gli insegnanti di lingua: non sapere più da dove si parte, visto l’attuale melting pot, non sapere verso quale lingua muoversi …

E qui si coglie la centralità della scuola, ancora troppo lontana dalle indicazioni delle Dieci Tesi per un’Educazione Linguistica democratica, pensate da De Mauro oltre 40 anni fa, ma ignorate dalle maggior parte degli insegnanti di lingua, incapaci, secondo Mario Ambel (direttore di “Insegnare”), di distinguere il momento di acquisizione delle competenze da quello di verifica, momenti ben distinti fra di loro anche nella pedagogia tradizionale, ma che si sono pericolosamente sovrapposti  nella caccia ai risultati delle prove Invalsi.

Per questo, si deve affrontare il nodo centrale della scuola: la formazione degli insegnanti in ingresso e in servizio. Occorre una progettualità  di sistema basata su ipotesi di linguistica educativa e sperimentazione didattica, come suggerito da Anna Rosa Guerriero, e quindi delle figure professionali specifiche, identificando un’area di studio in cui discipline linguistiche, sociologiche e didattico- pedagogiche convergano per lavorare sulla trasversalità della lingua. Ma non solo. Secondo Cristina Lavinio si deve ritornare al  “metodo Scandicci” voluto da De Mauro per l’alfabetizzazione degli adulti: lavoro di gruppo fra università e docenti di scuola, per condividere letture e risultati delle sperimentazioni in classe.Restano molti problemi aperti: la centralità del parlato e dell’ascolto (la “cenerentola” dell’insegnamento); le varietà linguistiche; la comprensione del testo; la scrittura funzionale; le nuove forme di scrittura impregnate di oralità, ecc. E non solo. Serve sempre di più una didattica innovativa e non solo trasmissiva, che si fonda su motivazione, responsabilità, coinvolgimento.

Ed è da qui che bisogna ripartire, in un momento in cui è venuto meno l’impegno civile e politico, da incontri e seminari di studio con momenti di riflessione, invece degli inutili momenti di formazione imposti dai dirigenti scolastici, sparsi, isolati, affidati a esperti esterni e per lo più curvati sull’uso delle nuove tecnologie. Anche perché non sembra che facciano ben sperare le ultime disposizioni ministeriali in materia di nuovi concorsi, dove nell’area cosiddetta “comune” non vi è riferimento alla pedagogia linguistica! Non resta pertanto che ripartire da De Mauro, con impegno e studio delle sue opere.

Clara Manca, Cidi, Torino

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