Con De Mauro sui sentieri dell'educazione linguistica

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L’insegnamento della lingua italiana può essere visto come un viaggio lungo, complicato, pieno di sorprese, ma anche di difficoltà improvvise e di ostacoli …. Ecco, allora, la necessità di trovare una guida, sicura ed esperta, pronta a suggerirti  i percorsi migliori, studiati e sperimentati, ad affiancarti … quando a non battere i sentieri prima di te. Per molti insegnanti, questo è stato il professor Tullio De Mauro, scomparso da poco più di un mese.

Forse proprio per questo, il mondo dell’educazione linguistica democratica -  illustri  linguisti e docenti universitari, accanto a maestri, professori, educatori e associazioni, coinvolti da anni in sperimentazioni e attività di autoaggiornamento -  si è ricompattato di recente. Infatti, una lettera firmata da 600 docenti universitari , inviata al Ministro e alla stampa, ha risvegliato il dibattito sulle carenze linguistiche degli studenti italiani. A questo appello si è aggiunto poco dopo un articolo di Ernesto Galli della Loggia sul “Corriere della Sera”,  il quale  addirittura imputa allo stesso De Mauro, e alle sue posizioni “radicali” contro la pedagogia linguistica tradizionale, lo sfascio linguistico dei giovani, come del resto hanno fatto il prof. Giorgio Ragazzini  (del “Gruppo di Firenze per una scuola del merito e della responsabilità”) o il giornalista Spartaco Pupo.

Dove ricercarne le cause, quali interventi proporre? E qui una valanga di interventi e prese di posizione sui media.

I “600” firmatari suggeriscono soluzioni al problema, basate sul merito, la selezione, il controllo … quasi un ritorno al buon tempo antico. Tra gli altri tre tipi di intervento: una revisione delle Indicazioni Nazionali (che hanno sostituito i vecchi “Programmi” per il primo ciclo) – troppo lasse a loro dire -; un aumento delle verifiche nazionali periodiche, al fine di controllare gli apprendimenti; una presenza nelle prove di uscita da un ciclo scolastico di docenti della scuola di grado successivo (es.: di scuola superiore per esami di terza media).

Difficile riassumere qui le numerose obiezioni a tali “soluzioni”, che però si possono raccogliere in tre filoni principali.

1. La difesa del “professore emerito”, come si può evincere dalla stessa Circolare del Miur, che ha risvegliato il livore dell’opinionista del quotidiano di via Solferino. Tullio De Mauro è stato uno dei più illustri linguisti del panorama italiano: storico, glottologo, socio-linguista, lessicografo (si pensi solo ai suoi Dizionari …), ha speso parte della sua vita ad occuparsi di scuola. “Non uno di meno” era uno dei suoi impegni, perché la scuola non lasciasse indietro nessuno, debole o svantaggiato che fosse, ma desse a tutti  il diritto ad un uso corretto e consapevole della lingua, grazie ad un rinnovamento della didattica e ad un serio impegno e ad uno studio continuo da parte degli insegnanti.  Anzi, oltre ad affiancare i docenti e a confrontarsi con loro nelle associazioni  professionali (il Giscel, da lui fondato, insieme al  Cidi e al Lend), a partire dalle Dieci Tesi per un’educazione linguistica democratica (di oltre 40 anni fa), più di recente si era occupato del cosiddetto “analfabetismo di ritorno”, che sta colpendo una buona fetta della popolazione adulta.

2. La validità delle Indicazioni Nazionali nel delineare il quadro di competenze in uscita dalla scuola del primo ciclo e nel fornire anche esempi di percorsi e applicazioni di tali principi. A  sostegno di tale affermazione, due constatazioni: la scuola primaria resta nelle indagini internazionali una delle meglio posizionate; la persistenza di un errore grossolano presso la classe docente (sotteso in parte anche alle  Linee Guida per i Licei), che il percorso di apprendimento della lingua si concluda con la scuola dell’obbligo, mentre tale processo non deve terminare  con l’Università, anzi dovrebbe continuare per tutta la vita.

3. La mancata formazione iniziale e quella in itinere della classe docente, nella maggior parte dei casi abbandonata a se stessa. Come ha scritto Mario Ambel in “Insegnare”: “In realtà le Tesi per un’educazione linguistica democratica hanno fatto breccia in gruppi assai ristretti di docenti, spesso confinati in scuole e situazioni di frontiera, il tempo pieno della scuola di base o gli istituti professionali, dove ci si misurava davvero con la difficoltà di insegnare e apprendere l’uso adeguato della lingua. Mentre nel resto della scuola italiana hanno continuato a trionfare un insegnamento della lingua di stampo grammaticista, anche se sempre meno efficace, e l’analisi logica (ritagliata sull’apprendimento del latino)”.

Sarebbe invece opportuno riflettere maggiormente sulla natura delle difficoltà incontrate dagli studenti nelle prove Invalsi e , contemporaneamente, sulla reale conoscenza e applicazione delle Indicazioni Nazionali  nelle nostre aule scolastiche. Così come è urgente da parte di chi si occupa di educazione tout court (quindi, istituzioni politiche comprese) una maggiore attenzione  alle trasformazioni dei mezzi di comunicazione di massa e, più in generale, a quelle originate da una società sempre più complessa e multiculturale.

Clara Manca, Cidi, Torino

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