Le convulsioni del Pd con pacco-regalo a Di Maio

Non è facile spiegare per quale ragione, dopo avere votato contro in Parlamento per tre volte consecutive e dopo avere votato una quarta volta a favore in cambio di «correttivi» che non sono mai arrivati, il Partito democratico si appresti ora a votare Sì anche al referendum, approvando definitivamente una riforma costituzionale – chiamiamola così – che fino all’anno scorso condannava come un inaccettabile sfregio alle istituzioni democratiche. (...) C’è ad esempio il sì «lungimirante» di Nicola Zingaretti, che invita saggiamente a guardare lontano. (...) E c'è il sì «dinamico» del sottosegretario all'Ambiente Roberto Morassut, secondo il quale il Sì del Pd «non è lo stesso Sì di Di Maio o di altri», perché «intende essere un propellente per fare una buona riforma elettorale che non riduca la rappresentanza dei territori e delle province e che riapra la partita di una riforma costituzionale che superi il bicameralismo perfetto». In altre parole, un Sì talmente dinamico da essere praticamente un No. E se siete così poco dinamici da non capire la differenza tra un Sì e l'altro, evidentemente vi sfugge che quel che conta non è il voto. «Quel che conta – argomenta Morassut sul suo profilo Facebook – è come stai nella società per motivare giorno per giorno i tuoi No o i tuoi Sì che un referendum necessariamente livella e omologa». (...) C'è Dario Franceschini, secondo il quale il Sì al referendum «non è un punto di arrivo», ma «deve essere il punto di partenza per riforme più larghe». Da uomo politico navigato, il ministro della Cultura sa che nelle occasioni solenni bisogna sempre puntare sul classico. E più classico di così si muore. Il commento di Francesco Cundari su Linkiesta.

Zingaretti fa un grande regalo al M5S

Leggi tutto...

Passata la tempesta del Coronavirus, fuori il Conte 2

La sinistra del Pd, a microfoni spenti, è sicura che non possa essere Giuseppe Conte l’uomo a cui affidare la fase della ricostruzione. Oltre tutto, non è sfuggito al Nazareno un certo appannamento del premier, ci si chiede se stia reggendo uno stress incredibile che va avanti da mesi. Ma c’è un problema più di fondo. Il commento di Mario Lavia su Linkiesta.

Conte 2, gli ultimi mesi a Palazzo Chigi

Leggi tutto...

Da destra a sinistra tutti evocano Draghi per guidare l’Italia finita l’emergenza

Ieri sera, dopo l’audizione del ministro Gualtieri in Parlamento, fonti autorevoli del Pd spiegavano che le ipotesi filtrate dall’economia — e che pronosticano un crollo del Pil per il 2020 tra il 5 e il 7% — fossero da ritenersi «ottimistiche»: «Bisognerà prepararsi a una manovra choc, che non si potrà fare senza un patto nazionale». È ormai evidente che nei prossimi mesi l’italia si ritroverà — per usare le parole di Mattarella — nelle stesse condizioni in cui si trovò al termine della Seconda guerra mondiale: perciò — ha detto il capo dello Stato — serve «la stessa unità di allora». «E allora — ha chiosato uno dei maggiori esponenti grillini — tutti i partiti parteciparono al governo di ricostruzione...». Ecco il punto, che è oggetto di discussioni riservate nelle forze di maggioranza: per quanto tempo ancora si potrà chiedere all’opposizione di aderire al principio di «unità nazionale», senza immaginare una loro partecipazione al governo? È una domanda che Di Maio si è posto durante una riunione del Movimento e che per certi versi ha trovato risposta indiretta nella dichiarazione di Franceschini. Se è vero, come ha sostenuto il ministro della Cultura, che «oggi è in campo la Nazionale», allora tutti devono giocare. Il problema sarà da risolvere per tempo, entro l’estate, appena superata l’emergenza sanitaria. Nel Pd già si confrontano linee diverse, e ieri Bettini — per difendere Conte — ha tentato di proporre come soluzione «un tavolo permanente» tra partiti di maggioranza e opposizione. Ma a lungo andare il processo di osmosi politica prefigurerebbe comunque uno scenario che dall’«unità nazionale» porterebbe al «governo di unità nazionale». Non ci sono altre opzioni, persino la strada (teorica) del voto è sbarrata: tra il referendum per il taglio dei parlamentari, l’obbligo di adeguare i collegi e la necessità di varare una nuova legge elettorale, si arriverebbe di fatto al «semestre bianco» della presidenza della Repubblica, quando sarebbe impossibile sciogliere le Camere. Difficilmente il quadro politico potrebbe reggere così, fino al 2022, in piena emergenza. Ché poi è la tesi dell’altro pezzo del Pd, molto simile all’analisi formulata giorni fa dal leghista Giorgetti: «Il sistema finanziario mondiale era in bolla già prima della pandemia. E il Covid-19 ha fatto esplodere la bolla. Ora, per fronteggiare la crisi, il debito italiano salirà fino al 140-160% di rapporto con il Pil. E dovremo trattare con i mercati e con l’Europa per non affondare. Con tutto il rispetto, mi chiedo: è possibile che questo governo possa affrontare la più grave crisi del dopoguerra? Conoscete la mia risposta». E si conosce anche il nome. Lo stesso che evoca Salvini quando propone «il meglio alla guida del Paese in questa fase delicata». Quello che per primo spese Renzi quando ancora era in piedi il governo giallo-verde. È Draghi che citano esponenti di rilievo del Pd, appena ricordano come il loro sia «il partito della responsabilità nazionale». Su Draghi a Palazzo Chigi «non sbaglio se penso che Berlusconi, e insieme a lui Gianni Letta, sarebbero favorevolissimi», dice Casini, che pure conosce le perplessità dell’ex presidente della Bce: «Ma se si venisse chiamati a servire la Patria in certi frangenti, sarebbe difficile sottrarsi». E il «richiamo alla Patria», non lascia insensibili nemmeno importanti dirigenti di FDI, certi che la Meloni «saprebbe cosa fare» semmai si arrivasse a un simile epilogo. Certo, ci sarebbe da sciogliere il nodo della formula politica di un governo che sarebbe chiamato a gestire la crisi economica, mentre al Parlamento toccherebbe riformare le regole. Ma intanto vanno costruite le condizioni per favorire il disegno, e non dev’essere un caso se ieri il capogruppo del Pd Delrio ha voluto alimentare «il dialogo con le opposizioni, che deve andare avanti». Al cospetto di chi lo invoca, Draghi ha il profilo giusto e nessuna controindicazione politica: finito il suo mandato non sarebbe un competitor dei partiti, perché — come dice un rappresentante dem — «la sua destinazione sarebbe il Quirinale». Il segnale Franceschini e l’ipotesi di coinvolgere il centrodestra: oggi è in campo la Nazionale. Lo scenario Giorgetti: è possibile che questo governo affronti la più grave crisi del dopoguerra?

Francesco Verderami – Corriere della Sera- 25 marzo 2020

Leggi tutto...
Sottoscrivi questo feed RSS

Newsletter

. . . .