Venezia, una mostra da Tiziano a Rubens

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Da TIZIANO  a RUBENS, la mostra  visitabile nelle sale del Doge di Palazzo Ducale a Venezia dal cinque settembre al primo marzo, è espressione e testimonianza storica  delle relazioni culturali fra gli  artisti italiani e del Nord Europa che dal lontanissimo Medioevo proseguirono  poi durante il Rinascimento e nei secoli successivi. Fra le chicche dell’esposizione un prezioso Ritratto di dama con la figlia di Tiziano, tornato a Venezia dopo cinquecento anni,  una descrizione familiare:  un doppio ritratto di madre e figlia , rimasto incompiuto, che rappresenta un episodio raro non solo nella ritrattistica tizianesca, ma in generale nella pittura veneziana dove  implicitamente era bandita l’iconografia dinastica. Molte domande si sono poste sull’identità delle due donne raffigurate. L’ipotesi ora accreditata è che la bambina potrebbe essere Emilia, la figlia della donna amata dal pittore dopo la morte della moglie. Questa dama che nel quadro  indossa una camicia candida con una sopraveste di marrone dorato e  porta al collo fili intrecciati di perle come gioielli  rimane  misteriosa. Forse il figlio legittimo Pomponio ha cancellato ogni prova della sua identità.  Si conserva tuttavia il documento di una dote che Tiziano assegna allo sposo di Emilia, un mercante di grano. La rassegna a Palazzo Ducale è un racconto serrato dei  reciproci influssi  fra l’arte fiamminga e quella italiana che tra la fine del Cinquecento e la metà del  Seicento  riflettono  il gusto di un colore “sonoro” e il dinamismo  della linea. Sullo sfondo del pullulare di commissioni artistiche e di viaggi che arricchiscono il bagaglio culturale di artisti di fama mondiale come   Peter Paul Rubens e Anthony Van Dyck, di cui possiamo ammirare in mostra le creazioni artistiche,  c’è la città di Anversa, da cui provengono buona parte delle opere presenti nell’esposizione, accanto a quelle di altre città fiamminghe. Giungono così per la prima volta  in Italia quadri mai visti, appartenenti anche a collezioni private. Si riattaccano i fili di una narrazione che nel fluire ininterrotto durante i secoli  di scambi,  fra  Nord e Sud, riscopre la qualità di una pennellata ricca di colore e di luminosità, la bellezza del corpo umano nella sua pienezza e  l’attenzione e la cura del particolare soprattutto nei paesaggi e  nelle nature morte. Si legge fra le righe  anche la storia del collezionismo sia pubblico sia privato: negli inventari di antiche  nobili famiglie veneziane si è scoperto  l’interesse per la pittura olandese e fiamminga  ed è utile rammentare che  pittori come Tiziano e Tintoretto  ebbero come assistenti pittori nordici. Fino alla seconda metà del secolo Anversa  fu un luogo vitale per le arti ed il commercio, dove fiorivano le botteghe degli artisti e i mercanti  vendevano  con facilità e buon guadagno le loro merci.  Le guerre di religione fra protestanti e cattolici culminate nell’anno 1585 con la presa della città da parte della cattolica Spagna e  che provocarono la cessazione dei traffici navali sul fiume Schelda, cambiarono il destino della città che vide allontanarsi i mercanti e  decadere le attività economiche. Fortunatamente il crollo non fu  immediato: infatti  in quegli anni sono  ancora attivi artisti come Maarten De Vos di cui ci rimangono numerosi studi di teste ad olio, chiamati  in seguito tronies, allora in voga sulla scia di maestri come Frans Floris, visibili anche nell’esposizione.  Testimone di una sensibilità ricca di sfumature Marteen De Vos è autore anche del quadro  Maria Maddalena penitente, che ammiriamo  nelle prime sale e che ricorda la bellezza femminile della Venezia del XVI secolo, nella declinazione tipica  delle composizioni tizianesche. Le opere monumentali di Jacques Jordaens: Nettuno e Anfitrite e Amore  e Psiche sono il trionfo della vitalità naturale, una natura raccontata attraverso l’espediente della mitologia, che in Anfitrite moglie di Nettuno e in Psiche diventa un tributo alla morbidezza dei corpi. La seconda opera visibile nella rassegna era nella casa del pittore ed è  l’unica che si é salvata, mentre quelle con lo stesso soggetto destinate alla regina Cristina di Svezia e alla corte inglese non sono sopravvissute. Belle anche le voci femminili come Michaelina Wautier con la sua opera Ritratto di due fanciulle come Sant’Agnese e Santa Dorotea. Il suo è uno stile raffinato con linee delicate che riescono a creare un’atmosfera intima. Qui le giovani sono dipinte con un’accurata analisi psicologica come future martiri sulla scia del pensiero dottrinale della Controriforma. Clara Peeters con le sue nature morte,  come quella con formaggi e burro, aragoste, gamberi, pane e vino comunica invece  la concretezza e il fascino  degli oggetti fatti di vetro e d’argento  e il sapore del cibo con una precisione che rivela le sue origini fiamminghe. La mostra che si sviluppa con un ritmo narrativo lungo le sale è il risultato del lungo lavoro di Ben Van Beneden, direttore della Casa di Rubens ad Anversa. Nella penultima sala risuonano le note dei musicisti fiamminghi. In particolare ad Adrian Willaert venne affidata la più importante istituzione musicale lagunare: la cappella del Doge, chiamata anche  della Serenissima Repubblica che egli farà lievitare trasformandola nella nota Scuola veneziana  e che sarà composta soprattutto da allievi italiani. Merita una pausa di riflessione e un ritorno sui propri passi, all’inizio del percorso espositivo,  la tela che raffigura il vescovo Malderus di Anthony Van Dyck dove lo sguardo intenso del prelato ci induce a seguirne la direzione e il pensiero. Nella rassegna di opere pittoriche  i  nomi noti come Rubens o Van Dyck, spesso nella trama di relazioni e di lavori eseguiti in team, ci conducono a scoprire o a conoscere meglio altri  artisti come Theodoor Rombouts, uno dei principali caravaggisti fiamminghi.

Patrizia Lazzarin, 5 settembre 2019

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